Ray~ VS Juliette

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Staffwarriorday
view post Posted on 11/4/2008, 18:12




Primo turno, gironi ad eliminazione diretta
Esperti

Annus Domini - Engel



Scontro: Ray~ VS Juliette
Arena: La camera dei prescelti
Condizione Atmosferica: Sereno, temperatura mite
Primo Post: Ray~

Condizioni di Vittoria

~Morte dell’ Avversario
~Resa
~Esaurimento dell'energia


Note

Ogni dettaglio omesso volontariamente o meno dalla descrizione dell'arena è delegato alla sportività del giocatore. Questo lascia libero spazio all'interpretazione dei player, con l'ovvio avvertimento che i giudici valuteranno eventuali eccessive "libertà" prese dai giocatori, penalizzandoli ove necessario.

Per ottenere i giudizi sono richiesti minimo TRE post attivi, più quello di presentazione. In caso di non raggiungimento della quantità minima di post, se questa mancanza è dovuta ad entrambi i player, si assegnerà un pareggio.

 
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Re Mascherato
view post Posted on 15/4/2008, 13:30




« Reflections cutting every face in two »

Subito... lo sparo.

Ricordo ancora la sensazione del sangue,
vischioso al tatto.
Benché le mie dita l'avessero già incontrato innumerevoli volte,
fu come se non me ne sarei più potuto liberare.
La vidi cadere dalla sedia senza un rumore, già debole.
Non riusciva a muovere il corpo liberamente,
le mani prive di energia,
strisciava triste lungo il pavimento.
Il mio sguardo finì col posarsi inevitabilmente
sulle menomazioni di lei;
sul motivo della mia reazione.
Sul "Perché" le avevo sparato.
Ciò che lessi nel suo viso, quel tempo, non fu paura, né risentimento.
Semmai, l'ultimo desiderio di un'amante,
che mi chiedeva di vivere anche per lei.
E quando alle sue labbra pallide sfuggì un sincero: "Ti amo",
tutto ciò che riuscii a risponderle fu: "Lo so".
Di certo, fu quell'episodio a cambiarmi,
tant'é che ancora oggi, ripensandoci, mi rattristo.

Quello che so è che il Re non perde mai. Che IO, non perdo mai.
Non persi nemmeno allora.
Lei oggi vive in me e in ogni mia vittoria.
E siccome non smetterò mai di salire,
sconfiggendo chi non è all'altezza di rispecchiarsi in me,
lei, come me, non morirà mai.

imageSubito... lo sparo.

Ricordo ancora la sensazione del sangue,
meravigliosa.
Benché le mie dita l'avessero già incontrato innumerevoli volte,
fu come se non ne avessi ancora provato il vero piacere.
La vidi scaraventata a terra come da una forza sovrumana.
Il corpo imprigionato dalla ferita,
le mani già gelide,
strisciava come un verme.
Le mie zanne finirono col posarsi
sulle carni di lei;
Ignorando lo sparo.
Ignorando "Perché" le avevo sparato.
Ciò che lessi nel suo viso, quel tempo, non fu paura, né risentimento.
Semmai, l'ultimo desiderio di una preda,
che mi chiedeva di vivere di lei.
E quando alle sue labbra morte sfuggì un debole: "Ti amo",
tutto ciò che, secco, le risposi fu: "Lo vedo".
Di certo, fu quell'episodio a cambiarmi,
tant'é che ancora oggi, ripensandoci, rido.

Quello che so è che il Re non perde mai. Che IO, non perdo mai.
Non persi nemmeno allora.
Ho superato anche lei, acquisendo una vittoria.
E siccome non smetterò mai di salire,
divorando i corpi di chi non è riuscito a divorare me,
lei sarà la madre del più crudele dei Re.

I ricordi lo affliggevano come una corona di spine.
Era bastato uno stimolo, e da lì a poco tutte le memorie che gli anni e gli sforzi erano riusciti a cancellare si stavano risvegliando una dopo l'altra, sopite dal lungo sonno.
Fastidiose, scavavano la mente del Regnante in tutte le direzioni, crivellandola e divorandola come avesse dei vermi nel cervello che, dai denti affilati come rasoi, si stessero facendo spazio nelle sue carni.
Il fastidio in lui, d'altronde, era evidente. Coi gesti tipici di un iracondo, soppesava ogni mossa poiché facesse più rumore possibile, digrignava i denti tra loro in una morsa famelica, lasciava spesso che le dita gli accarezzassero il collo, lente come la camminata d'un ragno, per levarne il sudore.
Lo sguardo, spento, saettava nervoso alla ricerca di qualcosa che potesse utilizzare come sfogo.
L'odio, traboccante, tracimante in lui, pareva riversarsi su ogni cosa su cui posasse gli occhi. Desiderava il crollo di quella camera scura, sentire il cuore di qualcuno stringersi sotto le sue dita, spezzare le ossa e lacerare le carni. Mai l'aveva chiesto così tanto.
Sentì la situazione pesare su di lui come se le sue vesti fossero tessute col piombo, tanto che faticava persino a fare un singolo passo.
Il suo respiro, grave, spezzava la quiete della stanza.
Per la prima volta, caso strano, il Monarca pareva troppo impegnato a combattere i suoi stessi spettri per preoccuparsi dell'apparenza. Turbato, non si curò minimamente che l'avversaria potesse approfittare di quella situazione. Non provò nemmeno la familiare sensazione che assaliva la sua lingua ogni volta che posava lo sguardo sulle carni di una preda. Non aveva fame, e non voleva divorarla.
In poche parole, tutto quel turbinio di pensieri che lo affliggeva, portò ad un unico risultato.
Risvegliò in lui l'ira.
Come una fiamma che aveva iniziato a bruciarlo dalle piante dei piedi, il Signore sentì il proprio corpo scaldarsi lentamente con l'accavallarsi dei pensieri, allo stesso modo con cui si scalda una pentola sul fuoco.
Sentì i muscoli tendersi, spasmodici nel vano tentativo di trovare un appiglio attorno a se.
Sentì le labbra asciugarsi, aride come non mai.
Voleva spezzare le lance che s'allungavano dalle mura una ad una, e in quell'attimo sembrava potesse farlo unicamente con lo sguardo.
Desiderava avere il proprio Cavaliere a fianco, così da poterlo tormentare.
Chiedeva così tante cose che le necessità gli si accavallarono pesantemente una sopra l'altra, costringendolo a stringere le dita tanto forte da ferirsi i palmi.
Come quando un bimbo si diverte a punzecchiare una bestia dormiente, così i ricordi seguitavano a giocherellare con lui e stuzzicarlo, ignari di quanto tutto questo potesse renderlo pericoloso.
Ignari che il suo stesso corpo stava reagendo, scosso dai tremiti.
Ignari che, se avessero continuato, sarebbero stati soppressi per altre decine d'anni, con la forza, se necessario.
Così, quando vide innanzi a se la figura della sua avversaria, l'occasione di sfogare la sua ira, non riuscì a trattenersi dal muovere un passo in avanti, sgranare gli occhi, abbandonare la mano destra ai fremiti e un altro numero incredibile di piccole reazioni che soffocò mordendosi le labbra.
Non doveva scordare l'etichetta.
Lui adorava l'educazione, e il galateo gli imponeva di sorridere.
Meno teso, rovistò con la mancina fra le vesti, fino ad estrarne una maschera di porcellana bianca, velata da diverse striature scure.
La mise sul viso, e smise di nascondersi all'altra, cosa che s'era malamente premunito di fare fino a quel momento. Sarebbe stato difficile non notarlo, infatti.
Ora più eretto, saldo e fiero, o almeno così sembrava, mosse un passo verso di lei.

«Mi perdonerai, ma non sono dell'umore giusto per ingaggiare un combattimento.»

Non sorrideva. Tuttavia tutto nella maschera lasciava intuire questa espressione.
Persino la voce suonava come spenta, e nonostante questo, tracimante d'ira.
In vista della sua successiva affermazione, però, anche sul suo volto, quello di Ray, del Re che non perde mai, si sarebbe aperta un'amara smorfia di compiacenza. Una figura troppo grottesca per poter essere riconducibile alle risa di un uomo. Piuttosto, l'espressione di un carceriere che può sfogare i propri dispiaceri torturando i prigionieri.
Presto, sarebbe ritornato ad essere quello che era.

«Ora come ora, ho solo bisogno di un giocattolo da spezzare.»


SPOILER (click to view)
CITAZIONE
Energia: 100%
Ferite: Nessuna
Note: A parte gli auguri di rito alla mia avversaria, nessuna.

CITAZIONE
S i i l a m i a F o r z a ~ Ray è in grado di incutere paura nelle persone a lui accanto. Il livello di paura sarà sempre presente, e non condizionato dalle caratteristiche psicologiche dell'altro, ma in quantità diverse, a seconda di quanto e come si entrerà in contatto con lui. Percepirne solo l'odore, infatti, provocherà semplicemente un leggero brivido lungo la schiena. Ascoltare le sue parole, o i suoi passi, accrescerà questa sensazione, alimentando i brividi e la paura. Entrare in un contatto visivo profondo e analitico, oppure troppo prolungato con Ray causerà un lieve senso di terrore. Percepirne la presenza ma non poterlo vedere aggiungerà a questo anche un lieve senso di ansia. Un contatto prolungato con il suo corpo provocherà vero e proprio terrore, e cercare di entrare nella sua testa per utilizzare un'illusione, o qualsiasi altra tecnica che necessiti di manipolare la sua mente, è un rischio che nemmeno i più coraggiosi potrebbero arrischiarsi a compiere, uscendone sani. Quest'ultimo effetto risulta praticamente inutile in quanto Ray, possessore della abilità "Sii la mia Astuzia", resterebbe immune alle illusioni in ogni caso. Questi effetti sono comunque attuabili solo su utenti di energia pari o inferiore. La paura, in sostanza, equivale a quella di ritrovarsi da soli in una stanza completamente buia, senza sapere da cosa si è circondati.
La paura non è né magica, né illusoria. E' semplicemente una sensazione emanata dal personaggio più assimilabile al concetto che "Ray fa paura" per i suoi comportamenti e il mistero che aleggia intorno alla sua figura. Un'abilità quindi più utile a scopo narrativo che all'interno di un duello. [...]
 
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Juliette
view post Posted on 19/4/2008, 21:16





The King and the Butterfly ~


CITAZIONE
Quando Teti andò in sposa a Peleo, si narra che Giove avesse invitato al banchetto tutti gli dèi tranne Eris, cioè la Discordia, che, non essendo ammessa alla festa, dopo essersi presentata ugualmente gettò fra i convitati un pomo, e disse che lo prendesse colei che era la più bella…

Da Il Giudizio di Paride


Si dice che il battito d’ali di una piccola farfalla sia in grado di scatenare un uragano dall’altra parte del mondo, e secondo la teoria del caos questo potrebbe essere vero. Così come potrebbe essere vero che lo spostamento di una singola particella, per un miliardesimo di centimetro e in un dato momento, potrebbe significare la differenza fra due avvenimenti tra loro completamente diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, oppure la sua salvezza.

Prendiamo come esempio una ragazza, una ragazza che si trovava ad un ricevimento a cui non era stata invitata. Era bella, tanto bella da ferire gli occhi, di una bellezza nobile ed antica, come quella delle statue rinascimentali che evocavano alla memoria il ricordo dei miti greci. La ragazza camminava nella folla, la lunga cascata di capelli scuri come le ali di un corvo che calavano morbidamente sulle spalle e sulla schiena, ma nessuno dava segno di averla notata, come se fosse invisibile; gli occhi spiritati erano due pozzi d’acqua di profondità insondabile. Aveva un solo braccio, e con la sua unica mano dalle dita nervose stringeva, quasi artigliandola, una mela dorata.

Seppure ovviamente lei camminasse alla maniera di tutti i comuni mortali, sembrava volare su una soffice nuvola di stoffa bianca e vaporosa, procedendo sul suolo senza tuttavia toccarlo: non faceva alcun rumore. Si insinuava tra le massa come una fantasia proibita in una mente conturbata, fluiva come un banco di nebbia, ed era

{ leggera come il battito d’ali di una farfalla }

impalpabile al pari della nebbia stessa. Una presenza reale e tangibile, ma che al contempo riusciva misteriosamente ad apparire incorporea. Quando gli uomini vedono qualcosa di straordinario, rifletteva con un sorriso deliziato, preferiscono trascurarlo per non turbare il proprio banale ordine di idee. Inventano una spiegazione razionale, altrimenti lo ignorano… o perlomeno si sforzano di farlo.
Eppure, nell’aria si sentiva a pelle un indefinito senso di tensione, simile a quello che si potrebbe provare al cospetto di un predatore con al quale occorre muoversi lentamente e mostrare un atteggiamento rilassato per non venire attaccati.

Quindi i convitati continuavano la loro insignificante pantomima, rigidi ad artificiosi come marionette, mentre la dama fluttuava nella ressa fino al primo tavolo. Qui abbandonò il prezioso frutto che recava in offerta, per ringraziarli del mancato invito, e sulla sua superficie del pomo era cesellata la frase fatidica: alla più bella. Lo appoggiò con la maggior discrezione possibile, inosservata in mezzo alla bolgia. La sua mano si ritrasse in fretta fra le pieghe del vestito.

Ciò che accadde in seguito fu lo scatenarsi di un infernale ordigno a cui lei aveva cercato, con quella mela, la scintilla di innesco. Tutto iniziò con le due dame che si accorsero per prime di essa: in principio parvero divertite dallo scherzo bislacco, ma fra una battuta e l’altra le parole si fecero di vanità e di rivalità; presto furono allusioni, e dopo degenerarono in insulti. Si passò dunque ai fatti, con le donne che si schiaffeggiavano e si tiravano i capelli come arpie infuriate, trascinando nella contesa i rispettivi cavalieri, che a loro volta finirono per arrivare alle mani; e così via, come se un bacillo malefico diffondesse il morbo della rabbia. La fanciulla rideva e passava piano,

{ delicata come il battito d’ali di una farfalla }

con quella curiosa ed ingenua crudeltà che in genere è appannaggio esclusivo dei bambini, capaci di compiere azioni orribili con la sola intenzione di assistere a quello che succede: una sorta di interesse scientifico verso quella massa di uomini che rapidamente regredivano allo stato di bestie. La ragazza si era limitata a sfiorare il primo di una serie di tasselli del domino, e subito, in una disastrosa reazione a catena, erano caduti miserevolmente tutti, ciascuno a forza trascinando l’altro con sé nell’abisso. Nel caos generale balenò la lama di un coltello, afferrato dalla tavola imbandita, e in un attimo i commensali si tuffarono nella mischia, mentre i riflessi delle lame si moltiplicavano.

Frattanto, lei attraversava la sala da ballo come se fosse estranea a quello che stava succedendo; e di riflesso nessuno sembrava registrarne la vista, mentre placida e solitaria ammirava gli arazzi alle pareti, schivando oggetti contundenti come se fosse per caso e sorpassando lo stuolo di belve feroci che si avvinghiavano per terra in una lotta fratricida, senza prestarvi attenzione alcuna. Ballava, accompagnata da questa folle e sfrenata danza macabra: il suo passaggio seminava la pazzia come un profumo velenoso, ed ovunque echeggiava una raccapricciante orchestra di armi e denti.

Quando fu stanca di spargere il contagio, come aveva fatto la Morte Rossa con la peste nel castello del principe Prospero, esaltata dallo scenario creato si lasciò cadere mollemente su un divanetto a zampe di leone. Con le gambe accavallate su un bracciolo e un gomito sull’altro, la testa sorretta dalla mano, si apprestò a godere dello spettacolo, con la pigrizia soddisfatta di un gatto che, acciambellato di fronte al caminetto, contempla il guizzare del fuoco.


image


Dinanzi a lei, quegli uomini che divampavano e si estinguevano come fiamme erano calici di carne, da cui il sangue straripava e si versava a fiumi. Fintanto che la spirale di violenza crescente culminava e si chiudeva, restò a guardare gli agonizzanti che si muovevano appena, somiglianti a delle braci che vanno spegnendosi.

Il liquido rosso sparso sui muri cominciava già a rapprendersi, quando un uomo, forse un domestico insospettito dalla fine del trambusto, si affacciò all’uscio. Aprì la bocca per parlare, ma barcollò e crollò sulle ginocchia prima poter di dire qualsiasi cosa, pallido più di un lenzuolo: lei gli sorrise, scendendo dalla sua postazione, e circondata da tutto quel sangue gli si presentò come una perla bianca e splendente che emergeva da un oceano di colore rubino.

Raccolta dal pavimento una lama, gli si avvicinò. L’uomo era impietrito dallo spavento, cosicché questa gli attraversò il collo senza incontrare reazione da parte sua. Raggiante, la fanciulla si voltò verso la distesa di corpi, piroettando su se stessa e rivolgendosi ad essi come se potessero ancora ascoltarla.

« Siete davvero una compagnia meravigliosa, ma è arrivata l’ora di andare…
E poi la festa è diventata un mortorio. »


Ridendo, baciò la testa mozzata sulla bocca

{ terribile come il battito d’ali di una farfalla }

e scomparve dietro la porta.






There's blood on the moon as we plan our escape
The goddess in bloom, handcuffed and raped
There's blood in the bathtub, baby, murder the King
There's blood on the moon
There's blood on just about everything




I suoi occhi conservavano fresca l’impressione visiva del sangue, a tal punto che anche l’oscurità le pareva sfumata di rosso. La stanza era praticamente una camera delle torture, o tale le pareva per la simpatica annessione delle punte che la minacciavano in silenzio dai muri, stringendosi su di loro in modo soffocante su tutti i lati.

L’avversario dello scontro ormai imminente le stava parlando, ma il suo primo sguardo fu per quella specie di carcere a trabocchetto in cui li avevano rinchiusi. Ricordava l’ambiente delle scommesse di tipo clandestino sulle lotte fra animali: anche là ficcavano le fiere in una gabbia con delle fessure da cui la curiosità morbosa dei giocatori d’azzardo poteva essere appagata.

Un respiro affannoso infranse la calma dei suoi pensieri, finché lo sguardo della donna non incontrò quello del nemico nell’istante in cui la sagoma di questi si incrociava un raggio di luce che passava dalle feritoie. La maschera rifulse sotto la carezza gelida di quella debole luminescenza come se urlasse per imporre la propria presenza, e le pupille, già avvezze alla penombra, ne furono ferite come da una pugnalata.

Spaurito, il cuore le schizzò in gola come se si volesse dare alla fuga.

Subito arretrò di un passo, impallidendo nel volto già chiaro come quello lunare e sbarrando gli occhi azzurro cielo, mentre, senza avvedersene, permetteva sbadatamente che il cranio le sfuggisse dalla stretta e rotolasse in avanti, arrestandosi ai piedi dell’altro; la mano che prima teneva la testa tagliata per i capelli ricadde inerte lungo il fianco.

Furiosa nei propri confronti per aver mostrato un istante di cedimento, irrigidì il viso in una posa di affabilità sorridente e distaccata, impostando voce ed espressione facciale con una facilità talmente grande da denunciare abitudine. Nella sua vita era giunto molto presto il punto a cui la dama aveva imparato a cambiarle come capi di vestiario.

Un sottile rivolo di porpora si snodò come un nastro dalle sue labbra, che nel bacio col cadavere si erano bagnate di sangue, appena ella le aperse per parlargli di rimando, simulando un rimprovero che suonò falso e stridulo alle sue stesse orecchie. Aveva la pelle d’oca.


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« Siete cattivo, caro. Non mi avete informata che il nostro fosse un ballo in maschera: e dire che io ho perso la testa per voi. Quantomeno, una testa. »

Con un largo gesto si esibì in tutta la sua persona, segnata da sfregi permanenti quali la mancanza del braccio sinistro e una vistosa, enorme cicatrice sulla gamba destra, che infatti trascinava leggermente, anche se non precisamente zoppicando. Sembrava esporre quelle ferite con insolito e malsano orgoglio, come se fossero delle medaglie al valore.

« Cosa vorreste spezzare di me? Vi avverto, è rimasto ben poco di intero, ma scegliete pure il pezzo che preferite. »

Con un polpastrello, si cancellò la traccia di sangue dal mento. La voce diventò risoluta, libera dagli artifici teatrali, e nel tono si poteva indovinare un segreto accenno di eccitazione.

« Se riuscite a prenderlo, s’intende. »

Sorrise, onesta e provocatoria come finalmente si concedeva di essere.


image


{ fatale come il battito d’ali di una farfalla }

L’uragano era in arrivo, poteva sentirlo.



She smiles like a child with flowers in her hair
With blood on her hands into the sun she stares
She feels it die, I heard her cry…

Like the scream of the Butterfly



SPOILER (click to view)
La canzone di cui ho citato il testo, che devo ringraziare per avermi fornito l'ispirazione di questo post ahimé lungo, è Scream of the Butterfly degli Acid Bath.
Ricambio gli auguri, naturalmente. Mettiamocela tutta.
 
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Re Mascherato
view post Posted on 24/4/2008, 09:47




« C'era una volta un Re, tanto potente che poteva tutto,
che si circondava degli arazzi e delle tele più belle:
filatori d'oriente, pittori di ogni dove, artisti capricciosi
pagavano per poter decorare le sue sale,
tant'è che lui non ne aveva mai abbastanza.
Un giorno, sul suo trono si poggiò una farfalla.
Il Signore vide in lei motivi tanto belli e colori tanto sgargianti
che ordinò a tutti i suoi servitori, nessuno escluso,
di produrre per lui un'opera identica alle ali della farfalla.
Gli dissero che era impossibile, ma lui non ci volle credere
e continuò a chiedere che gli venissero portati i risultati dei loro sforzi.
Dopo qualche giorno venne il pittore, che mostrò un quadro.
Aveva gli stessi colori delle ali della farfalla, e gli stessi motivi,
ma la tela era ruvida e pesante, e la figura dura come la pietra,
così il Re punì il pittore.
Poi venne il filatore, con un arazzo magnifico.
I colori e i motivi erano giusti, e l'arazzo era soffice e lieve,
ma privo di vita, e immobile come una statua,
così il Re punì il filatore.
Per ultimo, si mostrò a lui un cacciatore,
che aveva catturato tutte le farfalle del regno.
Ma ognuna di loro era diversa dalle altre,
e nessuna era come quella che ricordava,
così il Re punì anche il cacciatore.
Qualche giorno dopo, durante una splendida giornata di sole,
la farfalla tornò a posarsi sul trono. Il Re la vide,
ma non gli sembrò più bella come la prima volta,
seppur in lei non fosse cambiato nulla.
Così il Re punì la farfalla,
per avergli fatto credere che esistesse qualcosa di talmente bello
da non poterlo possedere.
»


image
E' semplicemente incredibile come lo sguardo degli altri possa cambiare una persona. Come possa ammansirla, domando la bestia feroce in lei e soffocandola; risvegliando nello studiato il senso del dovere, delle responsabilità e del giudizio, che a cavallo dell'esperienza, fanno da fondamenta ai pensieri di ogni mente razionale.
Il dovere di tornare a respirare normalmente, ad esempio.
La responsabilità di controllare ogni proprio fremito.
Il giudizio necessario a soffocare le passioni.
Come innumerevoli pensatori sostengono, senza lo sguardo degli altri il nostro animo non sarebbe altro che un guscio vuoto, privo di qualsivoglia interesse, enunciando così che la nostra esistenza è costruita sullo scheletro delle altre persone, e non sul nostro stesso; come a dire che un uomo, da solo, non riuscirebbe ad esistere; che non avrebbe lo spazio per lasciare alcun segno del suo passaggio e del suo essere in vita, così da sembrare, a chiunque gli capitasse di studiarlo, a tutti gli effetti morto.
Ray, naturalmente, non fece eccezione.
Anzi, non sarebbe errato dire che per lui non esistesse pensiero più vero di quello. E Ne trovò conferma negli occhi di Juliette, traditrici della di lei malignità, che lo scossero nel profondo, rimescolandone le idee e cancellandone ogni dubbio, tanto da riportarlo alla "normalità" del suo essere Regnante. Risvegliando in lui i doveri e le responsabilità di un giudizio tanto importante.
Solo per quell'istante, lo stesso in cui anche la ragazza aveva esitato scorgendo il viso scheletrico del Signore, i due sembrarono guardarsi come persone, prima che l'incantesimo si dissolvesse nel nulla, celere.
Ora il Re stava solo squadrando estasiato la buffa farfalla poggiata sul proprio trono che, per mezzo della lingua e dell'arroganza, faceva sfoggio di tutta la sua maestosità, in attesa del momento buono per battere le ali e scatenare l'uragano.
La studiò incredulo, senza essere in grado di capacitarsi della personalità di lei. Non con stupore, né allibito, bensì semplicemente interdetto.
Ne accarezzò con lo sguardo i lineamenti del viso appetibile, soffermandosi al di sopra di ogni piega, come se stesse accarezzando con la punta delle dita la figura impressa in una fotografia; e in lui si accese il desiderio di averla accanto per una, due, tre o più notti, e più in generale di giacere nello stesso letto di una donna. Da diverso tempo, si rese conto, non faceva altro che farsi compagnia con degli uomini.
Ne ascoltò le parole, soppesate con cura, che sembravano accendersi nell'aria come la scintilla che da vita ad un incendio, cariche e straripanti di vita, e desiderò combatterla, ma non punirla.
Infine ne apprezzò la postura, fiera delle proprie menomazioni, e desiderò averla come compagna, e non come avversaria.
Le idee esplodevano ilari in lui, guizzando da una parte all'altra della sua mente come le scintille si liberano dalle braci e dalle ceneri, e il Re tornò a sorridere. Doveva risponderle, o se la sarebbe lasciata sfuggire.

« Giacché parli troppo, potrei iniziare con la lingua. Ma sarebbe un crimine senza pari mia... »

Tentennò con l'indice battendo al di sopra del ghigno disegnato sulla maschera, alla ricerca di un soprannome che riuscisse a soddisfarlo appieno, tuttavia con scarso successo.

« ..."Sfregiata"? »

Mosse le braccia con divertito scetticismo, deluso del nomignolo da lui stesso adottato e ripromettendosi di trovarne uno migliore ad una seconda occasione, prima di tornare a concentrarsi sulla propria avversaria.
Per prima cosa avrebbe chiesto ad un pittore, e lui sarebbe riuscito a portargli la farfalla. Al pittore sarebbero servite tempere e colori, e lui gliele avrebbe consegnate.
Dalla sua spalla, infatti, si formò celere una mano nera e artigliata che, sibilante come una serpe, si lanciò contro la propria avversaria nel tentativo di ghermirne la figura.
Solo allora, l'artista avrebbe potuto disegnare per il Re.

SPOILER (click to view)
CITAZIONE
Ferite: Nessuna
Energia: 88%
Note: ///

CITAZIONE
S i i l a m i a M a n o ~ Improvvisamente, ad un consumo Basso, dalle vesti di Ray fuoriuscirà una mano artigliata, simile a quella d'un mostro, composta di pura energia nera dalla natura non elementale, con annesso braccio. Questa s'allungherà verso l'avversario, potendo raggiungerlo fino a dieci metri di distanza, non necessariamente in linea retta.
Toccato l'avversario, questa scaraventerà in lui un attacco psionico di livello basso, che genererà nel suo animo un pressante senso d'inquietudine e pericolo, nonché una vaga sensazione di terrore [Alimentata dalla paura provocata dal potere "Sii la mia forza".].
La particolarità della mano è quella di poter essere utilizzata anche per quegli attacchi che richiedono il contatto fisico con l'avversario, pur attuando solo quelli che non superano il consumo Medio.
Una volta toccato il nemico, l'arto si ritirerà nelle vesti di Ray da dove apparso, come mai esistito.
Le tecniche attuate attraverso'l palme usano un loro consumo e un loro slot ben distinti da quelli dello stesso arto.
S i i l a m i a T e l a ~ Toccando l'avversario e ad un consumo pari a Medio, Ray sarà in grado di scatenare su di lui una possente illusione, dove, nella sua mente, si ritroverà immobilizzato, trafitto dalla spada del cavaliere di Ray, un immenso Golem di ferro evocabile tramite la tecnica "Sii il mio Cavaliere".
L'illusione dura solo qualche attimo, poi l'avversario viene automaticamente riportato nel mondo reale, dove si ritroverà con una ferita d'entità media sul costato, proprio dove l'aveva giustiziato il Golem ferendolo con la propria spada.
L'impatto psicologico provocato dalla tecnica è, inoltre, notevole.
 
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Juliette
view post Posted on 26/4/2008, 11:50





…Io in realtà dovevo essere una farfalla notturna,
ma poi c’è stato un errore, e così son arrivata qui,
ma non è esattamente qui che dovevano posarmi,
e così adesso tutto è un po’ difficile,
è normale che tutto mi faccia male,
devo avere molta pazienza ed aspettare.

È una cosa complicata, si capisce,
trasformare una farfalla in una donna…



Probabilmente era vero che chiacchierava troppo. Doveva trattarsi di una qualche forma di compensazione: ricordava infatti di avere parlato poco fino ai quattro anni, non certo perché non ne fosse capace, ma perché riteneva che quelli che le stavano attorno fossero tanto sciocchi da non valere la fatica di una conservazione.

Da piccola aveva rappresentato la dannazione di più istruttori, in effetti. Li fissava tutti con occhi enormi e inespressivi, e restava muta come un pesce. Avevano finito per crederla priva della lingua, ottusa, o entrambe le cose. Fino a che non si era presa la soddisfazione di aprire la bocca e ripetere, il suono purtroppo arrochito dal lungo ozio della sua gola, ciascuna delle parole che le erano state rivolte nella convinzione che non potesse capire.

La faccia allibita della sua educatrice quel giorno aveva rallegrato molti dei momenti bui che aveva dovuto sopportare in seguito. Le scappava da ridere al solo pensiero, ma si trattenne.

Il compagno le piaceva, se così si poteva definire la sensazione che empiva il suo petto; ma le piaceva nella singolare maniera in cui può piacere un passatempo pericoloso, che allontana la noia al prezzo di un rischio mortale da correre.

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Ogni istante che passava in sua compagnia era come un passo verso il ciglio di un baratro, un precipizio ignoto che la attraeva e allo stesso tempo la terrorizzava con il suo richiamo ammaliante.

Il discorso di lui le toccò il cuore come le dita di un musicista avrebbero fatto con le corde di uno strumento, e le note sgorgarono in naturale risposta dalle labbra della donna. Tutti e due suonavano gli stessi accordi, tratti dal medesimo spartito, e si intendevano alla perfezione. Se ne compiacque.

Il gaudio per questa istintiva sintonia tra di loro era distinguibile sul volto della fanciulla dalle chiome brune, anche se forse era soltanto lei a comprenderla – sarebbe stato un vero peccato –, mentre conferiva con voce di miele il proprio indulgente beneplacito al soprannome appena improvvisato.

« Se questo titolo è un vostro dono per me, lo indosserò come un gioiello. »

Accondiscese con aria trasognata, abbinando alla frase un cenno di assenso del capo.

Presagiva su di sé lo sguardo dell’altro, sebbene gli occhi fossero nascosti dietro a una maschera, ed una impressione del genere, per quanto lusinghiera ed istigatrice di vanità, la metteva estremamente a disagio. Avrebbe voluto potere osservarlo senza travestimenti e spoglio di ogni finzione, come lei si offriva alla sua vista, ma questa cortesia non era reciproca.

Non ne sapeva il motivo, ma l’impossibilità di conoscere le fattezze del proprio rivale era fonte di tremendo fastidio, come una serpe annidata nelle viscere, e bruscamente il suo cipiglio si fece indispettito, deciso alla rivalsa.

La mano di materia oscura che partì al suo indirizzo la colse un poco alla sprovvista, lo confessava, sprofondata come si trovava nelle proprie riflessioni di carattere personale; cercò di evitare il contatto, agendo di mero riflesso, con una schivata di lato, ma incespicò a causa della gamba ferita e fu presa.

Una collera fredda e lucida le entrò nelle vene alla consapevolezza di quel contatto sgradito, non con spada o animale come nei due gironi che avevano preceduto quel duello, bensì con qualcosa di genericamente riconducibile alla specie umana a cui anche lei apparteneva, e perciò orribilmente insopportabile.

Vari uomini avevano sempre tentato di sfiorarla senza permesso, come se fosse un soprammobile e non una creatura senziente. A partire da suo padre. Ma erano superati gli anni in cui non poteva ribellarsi, gli anni in cui qualche moina viscida e melensa otteneva di farla rimanere buona mentre lui sbrigava i suoi sporchi comodi.
Potevano colpirla o addirittura ucciderla, non aveva importanza.
Ma non dovevano toccarla.

La durezza di quel rifiuto affondò nella sua espressione di ghiaccio, destinata a nascondere un sussulto non appena la mano incantata fosse calata con il suo ripugnante tocco in profondità, oltre la pelle, dove una simile intrusione faceva più male. La stretta si trasmise al cervello, al cuore o a qualsiasi altro organo fosse responsabile della sua coscienza, e si mutò in una morsa dolorosa che teneva ogni logica in scacco.

Una ferita inspiegabile si presentò sul suo costato, e dalle carni lacerate il sangue si riversò in flutti vermigli. Gli occhi andarono dalla persona che le stava innanzi al taglio, inorridendo per poi tornare su di lui, e in quel mentre spegnersi come quelli di un moribondo. Sephrine languì e si afflosciò sul terreno, molle al pari di un fantoccio svuotato; la sua figura intanto diminuiva di volume, riducendosi ad una sagoma lieve e inconsistente, a un involucro inanimato.

Una lacrima lucente corse lungo la guancia morbida della fanciulla.
Infine sopraggiunse il paradosso, ospite quanto mai inaspettato, nelle veste incantevole di cui il caso lo aveva provvisto. Una graziosa farfalla dalle ali iridescenti fece infatti capolino dallo squarcio al torace, in corrispondenza del cuore, librandosi timidamente in aria davanti al giovane prima di allontanarsi da quel bozzolo ormai inutile che era il corpo di lei, accasciato al suolo come un abito vecchio.

Passarono alcuni attimi, pochi granelli di una clessidra inesorabile, ed il velo di quella meravigliosa illusione si strappò crudelmente, dividendosi come un sipario e palesando la persona di Sephrine che stava immobile dinanzi al Re, come se nulla fosse successo. Sfacciatamente illesa.

Le grinfie di Walpruga erano sfoderate, in un assalto letale verso i punti più esposti del fisico del rivale, ed arrivavano alla considerevole estensione di più di un metro. Collo, busto e braccia erano le aree prescelte: il traguardo principale era perforarli di scatto per presto ritrarre i dorati artigli.

Occhio per occhio e dente per dente: così dettava la legge del taglione…
Messa al corrente dalle sue arti magiche della minaccia incombente, a inganno aveva restituito altro inganno. Seppure con una gamba menomata, camminando era andata incontro al Re durante la tessitura dello stupendo miraggio con il quale aveva provato ad attirarlo nei meandri della propria mente di sognatrice, lasciandovelo invischiato come una mosca se egli non avesse opposto al raggiro un adeguato potere. Giunta ad una distanza ragionevole da questi, aveva disteso davanti a sé la mano, liscia e dalle dita sottili, e da questa erano dipartite le lame avvelenate della sua arma.

Non intendeva assalire il ragazzo con la gamba in quelle condizioni. Sarebbe stata una follia, anche perché a eseguire tutto il lavoro per lei furono le lame stesse, che potevano contare da sole su una alta potenza di perforazione causata dal veloce accrescimento. Esse avrebbero incontrato l’altro sul proprio percorso, per ritirarsi in modo repentino, come lingue biforcute di serpente, subito dopo. Una tragica fatalità.

« Fatemi sentire ancora il suono della vostra voce, caro. Ne ho bisogno. C’è troppo vuoto, qui. »

Dolcemente formulò questa supplica, un bisbiglio disarmante nella sua sincerità. E non si capiva se alludesse al vuoto della stanza o a quello della sua anima.

La lacrima era l’unico elemento della visione illusoria che non fosse falso. Ancora adesso, le bruciava lungo la guancia come una scia di fuoco.

Sfregiata, sì, ma viva. Ancora viva, tenacemente viva. Aggrappata alla vita come una zecca alla preda. E le pareva di non averne mai abbastanza.


…Volevo dire che io la voglio, la vita,
farei qualsiasi cosa per poter averla, tutta quella che c’è,
tanta da impazzirne, non importa,
posso anche impazzire ma la vita non voglio perdermela.
Io la voglio, davvero,
dovesse anche fare un male da morire
è vivere che voglio.

Ce la farò, vero?
Vero che ce la farò…?







SPOILER (click to view)
I brani in apertura ed in conclusione sono tratti da Oceano Mare di Alessandro Baricco.

Nota: Mi duole informarti che in realtà il personaggio si chiama Sephrine ^///^ Ma sei perdonato grazie alla bellissima fiaba nel tuo post =D

Tecnica: Il Velo della Mente e del Pensiero
Consumo: Medio (8%)
CITAZIONE
La psiche della sirena è come uno specchio di limpida acqua, buono a riflettere solo ciò che è reale: ella può preservare infatti magicamente il proprio cervello da attacchi di matrice psionica, dato che questo sortilegio le concede di avvertirli nonché di tutelarsi in modo parecchio efficiente contro di essi. Qualora venisse a stabilirsi un contatto mentale fra i due opponenti, la fanciulla può allora ricorrere ad un velo di aura che abbraccia il suo intelletto ed i suoi sensi per strapparli subitaneamente dalla mente della controparte. Tale velo custodisce e protegge le sue capacità di discernimento proprio come se si trattasse di una barriera tangibile di consumo medio che si insinua tra i contendenti, ma detiene anche altre caratteristiche abbastanza peculiari: unendolo alle inclinazioni illusorie della giovane si perviene inoltre ad ottenere una specie di subdolo tranello tra le pieghe nascoste del suo raziocinio, perché il maleficio, lungi dal ridursi ad arginare ogni insidia nei confronti della sua artefice, riesce anche a creare un complicato e labirintico meccanismo di allucinazioni che rapiscono la concentrazione dei contendenti per qualche breve attimo. Non si pretende affatto che i rivali ne rimangano vittime, ma è già sufficiente che le suggestioni generate dal velo estorcano loro un momento, affinché la giovane possa approfittarne per portare a segno una celere azione offensiva ancora prima che la ragione della distrazione altrui venga infine a scomparire. Accade che i soggetti considerati arrivino a distogliersi dal diversivo in modo da tentare di fare una schivata provvidenziale: tuttavia il ritardo così accumulato li porta sovente a incassare lo stesso una frazione del danno.

Artefatto: Walpruga
Consumo: Nessuno
CITAZIONE
[…] Tale articolo è costituito da un insieme di cinque unghie, apparentemente modellate nel lucente metallo aureo, affilate come bisturi e corredate da un bracciale del medesimo materiale nel quale sono state ricavate: esse misurano venti centimetri circa, e la loro conformazione è quella degli artigli allungati a punta ricurva ed aguzza, caratteristica anche delle aquile e di altri predatori. Si narra infatti che in un tempo remoto le grinfie appartenessero perfino ad una potente arpia, un malefico mostro alato della mitologia ellenica, originariamente divinità seducente ma poi diventata una specie di creatura deforme e orrenda dal volto e dal busto di donna e il resto del corpo uguale a quello di un uccello rapace. Ciascuna di queste unghie è satura di veleno, cosicché è sufficiente un solo graffio nelle carni avversarie per farlo entrare in circolo, limitandosi ad intorpidirle localmente nel turno stesso, ma rendendole completamente rigide e inamovibili in quello successivo. Quando indossati, gli artigli aderiscono alla perfezione alle dita affusolate della sirena che li detiene: si potrebbe dire che calzano al pari di un guanto, proprio come il monile di fattura squisita che li accompagna perennemente sul polso snello della padrona e che reca sulla superficie stupende e raffinate incisioni a forma di complicati intrecci floreali, terminanti in tre gemme color verde smeraldo che spiccano tra gli intarsi.
NOTE: Il veleno intorpidisce solo la zona colpita, non tutto l'arto. L'effetto dura quindi nel turno in cui colpisce e nel successivo, poi svanisce.

Tecnica: Stretta della Vipera Malefica
Consumo: Basso (4%)
CITAZIONE
Nonostante la loro ridotta estensione, che purtroppo talvolta si rivela insufficiente in uno scontro diretto tra le fazioni in campo perché in netto svantaggio rispetto alla lama di armi come per esempio la spada, le grinfie possiedono la facoltà eccezionale di prolungarsi alla genuina volontà della loro proprietaria, con un estremo di lunghezza che raggiunge i due metri circa. La giovane vanta il privilegio, per un periodo totale di due round interi, di poter disporre col suo solo volere spontaneo di ogni modificazione nella misura delle grinfie: durante questo lasso di tempo le loro dimensioni rimarranno infatti instabili, e pertanto soggette a possibili successive variazioni a discrezione della propria padrona. Proprietà come conformazione e pericolosità derivante dai fianchi taglienti e dal vertice aguzzo degli artigli incantati possono sottoporsi soltanto a minime alterazioni, che tuttavia consentono di trasformare queste armi in fruste metalliche, o perfino in aghi che in quanto a resistenza non hanno niente da invidiare a materiali come granito e adamantio. Tale potere si dimostra utile soprattutto per penetrare la guardia avversaria con dei subdoli e subitanei attacchi a sorpresa che spesso possono ottenere di oltrepassare una difesa svelatasi inadeguata. Il consumo richiesto da questa operazione corrisponde ad una spesa energetica bassa: tali mutamenti sono praticamente immediati ed il materiale permane avvelenato come sempre.

Energie residue: 100% - 12% = 88%
 
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Re Mascherato
view post Posted on 27/4/2008, 18:23




« Dopo qualche giorno venne il pittore, che mostrò un quadro.
Aveva gli stessi colori delle ali della farfalla, e gli stessi motivi,
ma la tela era ruvida e pesante, e la figura dura come la pietra,
così il Re punì il pittore
. »


Che imperdonabile fallimento.
Per un attimo, persino Ray s'era concesso di sperare in qualcosa di più di una semplice tela. Una fantasia all'interno della quale le punte delle sue dita riuscivano ad accarezzare le soffici ali della Farfalla, senza che si accorgesse del dolore che le provocava. Null'altro che un desiderio, all'interno del quale la vittima gridava la sua sofferenza alle orecchie di un Re sordo, che la tormentava unicamente per la sua compiacenza.
Eppure lui desiderava così tanto poterla avvicinare...
Ne sentiva già scivolare la pelle pallida sotto le dita, vellutata come la seta.
Riusciva a pregustarne il sapore, immaginando ciò di cui le sue labbra e la sua lingua avrebbero potuto godere incontrando il collo di lei.
Come un bambino sogna l'istante in cui realizzerà il suo più grande desiderio, anche il Re stava idealizzando il momento in cui le sue mani avrebbero raccolto le ali di quella Farfalla, e di quando e quanto lui se ne sarebbe compiaciuto.
Gli occhi, fortunatamente velati, tracimavano dal disio al solo pensiero di afferrare la ragazza con forza e farla sua; ma, a quanto sembrava, i mezzi a sua disposizione non erano ancora sufficienti.
Non credette per un solo attimo all'illusione che la ragazza gli stava mostrando.
La sua mente discontinua suonava come allarmata alla vista di quello spettacolo che, seppur magnifico, colpiva i suoi occhi come nuda finzione, mero ammaliamento.
Schioccò le labbra con disappunto, soppesando lo sguardo sulla Farfalla che, lieve, si librava dal petto di lei. E mentre i suoi occhi si concentravano su ciò che accadeva innanzi a lui, ogni altro suo senso saettava per la camera, che lentamente gli sembrava, forse solo sua apparenza, sempre più stretta.
Così, quando lo spettacolo terminò e giunse l'attacco della giovane, il Re era più che preparato a riceverlo, anche se non si sarebbe mai aspettato giungesse da una simile distanza.
Pochi metri la superavano dalla sua avversaria ora, e la cosa gli provocava tutt'altro che dispiacere.

Dio, io ti confesso...
Non ho mai invidiato tanto i peccatori.

Sul suo volto si aprì una crepa. Uno spiraglio di carne viva che, al di la della sua volontà, liberò nell'aria un rantolo disperato nel trovarsi così vicino al suo desiderio più grande di quel momento. I suoi occhi tradirono un'inaspettata sorpresa.
Mosse la mano con gentilezza innanzi a se, e da essa andò a liberarsi un'energia nera, la stessa che poco prima aveva assalito la ragazza sotto forma di palme, che si innalzò innanzi a lui. Gli artigli di Sephirne vi si scontrarono contro, senza riuscire a superarla, e quindi senza incontrare le carni del monarca.
Uno spettacolo meraviglioso quello della propria energia che, sibilante come una serpe e scrosciante come una cascata, si riversava contro l'artefatto dell'altra solo per impedirne l'incedere.
Quando poi tutto finì, poté rivederla in volto.

« Che inaspettata cortesia. Prima scappi dal mio tocco, mi attacchi, e poi mi chiedi di parlare? »

Si grattò la testa con la mano, recitando perplessità. Al di sotto della maschera, il Re mordeva a sangue le proprie labbra nel tentativo di frenare l'impulso di lanciarsi contro la Farfalla, e assalirla. Così facendo, non sarebbe riuscito a contenere la fame.

« E dire che solitamente i miei avversari fanno di tutto perché io taccia... Moretta. »

Socchiuse le palpebre con sdegno al suono del soprannome che lui stesso aveva adottato. Di male in peggio.
Poi sul suo voltò si delineò una smorfia troppo compiaciuta persino per lui. Un graffio, che se notato avrebbe inevitabilmente compromesso tutto il resto della sua azione.
Grazie a Dio, indossava la maschera sul volto.

Ancora una volta, come fossero uno,
Un lupo tradirà un agnello.

Allungò un palme innanzi a lui, volto gentilmente verso l'alto, come volesse invitarla a danzare con lui.
Il pittore non era riuscito a procurargli un'opera adeguata, così stava per incaricare del compito il filatore, tessitore di trame, che si sarebbe rivelato senza dubbio più efficiente. Colui che trae gli inganni e fila le bugie, che mai l'aveva tradito.
Mosse un passo in avanti con tono incoraggiante, elegante, solo per lasciare che le vesti si liberassero in voluttuosi sospiri intorno a se, con signorilità.
Poi la sua voce proruppe per la sala, diversa.

« Tuttavia, piuttosto che parlare, per me sarebbe un onore poter danzare con te, mia Dolce. »

Non un lei a turbare la continuità di quelle parole, più sinuose, dolci e profonde di prima.
Come serpi, i suoni sembravano strisciare lenti dalle sue labbra, caldi e velenosi, per andare a stringersi intorno al collo dell'altra, letali.

« Insieme potremmo mostrare al mondo le gioie del ballo e dell'amore, del volo e dell'incanto... della vita e del respiro. »

Allungò lentamente la mano verso di lei, sempre più. Un movimento quasi impercettibile all'occhio umano.
Sentì le labbra, morbide, asciugarsi piano prima di tornare a parlare, sotto l'effetto di chissà quale incanto.

« Ti tratterei bene, Cara. ...Non potrei mai farti del male comunque. Diverremmo una cosa sola, se solo tu ti concedessi a me, ora. »

Come suo solito, Ray confondeva tra loro il sesso, la danza, il cibarsi, e tutti quei vocaboli che per lui comportavano un'attrazione verso l'altrui persona, ma, sempre com'era suo uso, non mentiva. Solo persona, la sua maschera e corona, ghignava falsa, sul suo volto.
Se solo la farfalla avesse deciso di posare le sue ali sul palme di Ray, i due avrebbero danzato per la sala, splendenti e meravigliosi.
Si sarebbero concessi un Valzer, un Lento, o forse chissà cosa, volteggiando splendidi e lievi come solo le piume sanno essere, cadendo in terra. E lei si sarebbe concessa a lui, e lui si sarebbe concessa a lei. La sua compagna da sempre.
Sì, perché se solo lei l'avesse accettato, allora loro due sarebbero divenuti compagni per la vita, fino al prossimo novilunio. Due innamorati che si sarebbero concessi ai piaceri della musica e della carne, senza più combattersi. Senza più distruggersi.
E allora, il Re avrebbe ottenuto ciò che desiderava. O almeno così credeva, in quell'istante, quando ancora non capiva che, ammansendo a se la farfalla né avrebbe anche distrutto le ali.

« Se solo tu prendessi questa mano, mia Adorata...

...Oh, desidero così tanto poter stare con te anche solo per un attimo
... »


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SPOILER (click to view)
CITAZIONE
Ferite: Nessuna
Energia: 76%
Note: Che errore imperdonabile T_T Mi spiace ç_ç Cercherò di stare più attento.

Passive:
CITAZIONE
S i i l a m i a A s t u z i a ~ I possessori di quest'abilità innata possono vantare di un'ambiguità, un'intelligenza e un'astuzia fuori dal comune, di gran lunga superiore a quella di un normalissimo essere umano che neppure può sperare di rasentarne i livelli. Ottimi strateghi, matematici, ma soprattutto parlatori, i personaggi provvisti di questo potere possiederanno una notevole capacità persuasiva e elusiva, tanto che sarà difficile poter intercorrere un discorso con loro uscendone del tutto lucidi. Inutile dire che andranno d'accordissimo con filosofi e parlatori di ogni genere. Spesso sono subdoli e scaltri, e Ray, in particolare, rispecchia di gran lunga queste ultime caratteristiche.
Il portatore grazie alla sua astuzia potrà ottenere facilmente ciò che vuole dalle persone a cui parla, giocando con le loro menti e filosofeggiando non poco. Inoltre, la sua mente si affinerà al punto tale da permettergli di compiere qualsiasi tipo di ragionamento in tempi infimi, purché si tratti di calcoli prettamente logici, e privi di deduzioni. Quest'ultima abilità, prettamente strategica, lo rende in grado di valutare qualsiasi possibilità, nell'ambito di un duello, senza doverci ragionare sopra per troppo tempo, sprecando secondi preziosi. Potrà quindi formulare geniali strategie in un lasso di tempo minimo, che lo avvantaggeranno verso la vittoria.
Come se tutto questo non bastasse, l'innata gli fornisce la possibilità di determinare con certezza e con precisione quando un ammaliamento, un condizionamento o un'illusione lo colpisce, e gli permette di liberarsene grazie all'abilità attiva.
I n g a n n a r e i P e r i c o l i ~ "Ma no, tranquillo, cosa potrebbe farci un divoratore di anime inferocito?" Persona ha un controllo sulla mente delle sue vittime molto limitato, quasi nullo, può però con molta facilità agire sul tramite che permette alla mente di stabilire se una cosa è reale o meno, oppure in questo caso, se è pericolosa o meno: i sensi. La vittima percepirà diversamente una creatura, un oggetto o un avvenimento che normalmente farebbe scattare il suo istinto di conservazione.
Qui l'azione della maschera è particolarmente difficoltosa, non è infatti possibile far credere che qualcosa di palesemente pericoloso e dannoso (Una lancia in arrivo) non lo sia, poiché l'istinto di conservazione è una forza estremamente potente nell'animo di un essere vivente. E' però possibile agire sulla paura dell'ignoto, quindi un oggetto o un animale e (Sopratutto) una situazione di cui non si conosce le proprietà e gli effetti può sembrare enormemente pericoloso sotto gli effetti di questo incantesimo. Per esempio, indico un Azumael (Nome inventato) come una creatura mortale che uccide al solo sguardo. Se la vittima vede un animale a lui completamente sconosciuto e lo indico come un Azumael, ecco che l'inganno avrà luogo, ed i sensi della vittima faranno scattare con violenza il suo istinto di conservazione.
Ciò funziona ovviamente anche al contrario, e se non si conosce con esattezza la natura di una situazione, di un animale o di un oggetto, si può crederlo affatto pericoloso. Quindi se io definisco un divoratore di anime come una creatura innocua e giocherellona, la vittima la crederà tale anche quando vi si troverà di fronte. Essendo un divoratore di anime un'entità demoniaca alta circa sei metri spillante fuoco ed armata di frusta ed ascia, la vittima camminerà tranquilla convinta del fatto che effettivamente questo essere mostruoso è in realtà innocuo. Ciò, ovviamente, finchè il demone non inizierà a provare l'efficacia del filo della sua ascia sulle sue carni.
Si dice che in passato, ad un sontuoso banchetto di nozze, Loec abbia fatto credere ad una divinità che ritrovarsi a letto con una donna dai capelli rossi alla prima notte di nozze è causa di morte orrenda per malattia. Inizialmente la divinità in questione rise di gusto credendolo uno scherzo, per poi smettere durante la messa a letto scoprendo con orrore che la sua novella moglie era effettivamente una donna dai capelli rossi.
Per utilizzare questa tecnica non è necessario avere Persona [La maschera] indosso.

Attive:
CITAZIONE
S i i i l m i o I n g a n n o ~ Uno dei più utili e insidiosi poteri di Ray, ch'ha sviluppato dopo anni e anni di ricerche, sezionando ogni singola vittima capitata sotto le spire sue e del suo cavaliere.
Fondamentalmente, il ragazzo è divenuto in grado di dare forma alla sua aura, tramutandola in vera e propria energia dal colore nero e dagli screziati riflessi vermigli, che è solito utilizzare in battaglia.
Muovendo chiaramente le braccia e le mani, come un pittore dipinge la sua tela, il Re creerà fasci d'energia intorno alla sua figura che, più di ogni altra cosa, hanno l'obbiettivo di difenderlo dalle offensive avversarie fungendo da scudo. Le strisce di pittura potranno essere infatti larghe fino a due metri, e alte altrettanto.
Il consumo dell'abilità è naturalmente Variabile, a seconda di quanto la striscia d'energia debba essere potente.
La visione è particolarmente magnificente per tutti gli avversari che, fortunati, dispongono d'abilità d'auspex visive. Questi infatti avranno la capacità di incantarsi innanzi ai flussi dell'aura di Ray che, sotto un suo semplice gesto, si colorano di nero e si ergono a sua difesa.
Con un lungo movimento è anche possibile creare una cupola che vada a coprire l'intero corpo del ragazzo, ma la sua consistenza la farà apparire come sempre in movimento, inconcepibilmente viva.
Benché il potere possa apparire incredibilmente versatile, non lo è. L'aura infatti ha solo scopo difensivo, e non può in alcun modo arrecare danno al proprio avversario. [Utilizzato un consumo pari a Basso per difendersi dalla tecnica avversaria]
I n g a n n a r e g l i I n g a n n a t o r i ~ La maschera permette al possessore di riconoscere immediatamente quando qualcuno mente (Udirà una risata sgangherata nella propria testa, che spesso si confonde con la risata altrettanto diabolica del portatore che si avvicina e si confonde con la personalità della maschera. Non necessita di indossarla per usufruire di quest'effetto). Inoltre, Loec era famoso per la sua pratica di ingannare i propri amici ed alleati e perfino se stesso per rendere i propri machiavellici piani assolutamente realistici ed impossibili da scoprire. La maschera può quindi convincere di qualsiasi cosa un amico, un alleato o perfino chi la porta, sostituendone ricordi con altri fittizi oppure fuorviandone il significato. Questo richiede contatto fisico ed un consumo energetico Variabile in base alla quantità della manipolazione stessa. Indipendentemente dall'entità della manipolazione, l'influenza della maschera sugli altri svanisce all'avvento della luna nuova (Novilunio) che corrisponde al momento di massima debolezza della magia ingannatrice di Loec (Da sempre legata all'influsso mistico lunare).
La sola eccezione a ciò riguarda il possessore. Si dice che in passato un grande principe possedesse una persona di Loec. Avendo dovuto giustiziare la propria amata perché eretica, ne fece uso modificando i propri ricordi ed autoconvincendosi che furono gli eretici ad ucciderla. Questo tipo di influenza dura per tutta la vita, a meno che non sia lo stesso possessore a voler spezzare l'incanto di Persona. Si dice però, che un istante prima di morire, se quei ricordi furono cancellati per sopprimere il dolore, Persona mostri al suo possessore quegli stessi ricordi che ha voluto cancellare sghignazzando e deridendolo per la sua sciocca scelta. Questo perché la maschera apprezza veramente che questa pratica sia fatta per l'uso originario del Dio degli inganni, e non per queste sciocche azioni dettate dai sentimenti che sono proprie degli uomini.
Per manipolare la mente dell'avversario è necessario avere la maschera indosso. [Utilizzato un consumo Medio per far credere all'avversaria di essere la compagna di Ray da lungo tempo.]
 
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Juliette
view post Posted on 30/4/2008, 22:25





Ora so che cosa è il bene
E cosa è il male,
Qui dentro me:
Due labbra della stessa ferita
Che tu hai aperto…

C’è un destino di rondine
In noi…
Ci fa sempre tornare fin qui,
Oltre i secoli, i mari, gli eroi
Per amore…



Aveva sempre desiderato disperatamente di essere amata da qualcuno. Di essere amata da una persona che pensasse sempre e solo a lei.

Aveva covato questo desiderio silenzioso, e per certi versi infantile, per così tanti anni che ormai aveva perso il conto. Le sembrava di essere venuta al mondo già con questa fame d’amore terribile ed inappagata che le rodeva il cuore. Era un anelito che tesseva tra sé e sé nelle notti insonni, quando i battiti del proprio cuore risuonavano così forti da assordarla, e si sentiva sola. Un sogno futile, ne conveniva, ma era meraviglioso e struggente al contempo; le consumava l’anima. Se ne sentiva logorata come da una fiamma inestinguibile. Ed era segreto, completamente segreto, tanto che forse non l’aveva mai ammesso. Lo aveva nascosto, soffocato sotto tonnellate di duro orgoglio, cercando di ucciderlo come una madre avrebbe potuto fare con il figlio appena nato, sentendosi morire lei per prima.

Ma quella che cercava strenuamente di cancellare, anche se senza successo, era pur sempre una parte di sé. In qualche modo intuiva che era un pezzo importante, prezioso e scintillante come una goccia di sole, perciò a volte non aveva il coraggio di reprimerla. Le serviva per convincersi di essere ancora capace di provare dei sentimenti, di essere ancora un essere umano. Quando si diventa aridi come sabbia del deserto, persino le cose più banali sono importanti per mantenere intatto un barlume di umanità; importanti quanto il filo di coscienza che rappresentava l’unica barriera tra lei ed il nulla in cui rischiava di precipitare. I suoi sogni erano le sbarre che le consentivano di affermare di trovarsi dall’altra parte, di non appartenere alla schiera dei mostri.

Ray, senza conoscere niente di tutto questo, senza sapere niente, senza capire niente, aveva spalancato la porta che lei aveva tenuto fermamente chiusa, in una stanza remota della propria mente. Una stanza chiusa per sempre, o così sperava. Aveva gettato via la chiave, non voleva più entrarci. La consapevolezza di quella porta chiusa gettava un’ombra sui suoi pensieri, ma almeno riusciva a restare intera, a non andare in pezzi come fragile vetro.

Il crimine del Re fu mandare in frantumi con enorme, crudele facilità ciò che lei si era a lungo sforzata di preservare.
Nulla di più di un frammento di cuore, talmente piccolo da non fare alcun rumore quando si incrinò.

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Lui le aveva parlato, versando parole dalla bocca come se fossero vino, e come se fossero state vino squisito Sephrine le aveva bevute.

Era rimasta incantata dal suono della sua voce, ancora più che dal significato delle frasi pronunciate, e ne voleva sempre di più, con la smania di una tossicomane; il movimento leggero della mano l’aveva poi come ipnotizzata, rapendo il suo sguardo e tenendolo incatenato a quel palmo rivolto verso l’alto, che la invitava ad avvicinarsi.

La naturale diffidenza della bella Sirena sfumò fino a svanire, a ridursi ad uno spettro lontano. Voleva solo affidarsi alla stretta di quella mano, credergli e dimenticare tutto.
Dimenticare.

Forse lui era quella persona che aveva aspettato per tanto tempo. Forse poteva finalmente togliersi di dosso ogni ansia, ogni terribile timore, ed affidarsi al suo abbraccio. Sarebbe tornata ad essere semplicemente Sephrine. Non un capitano, non un avversario, soltanto una donna – una bambina – che voleva essere amata. Come tutti.

Fino ad allora, lei era stata come una nave smarrita in un oceano senza fine, alla continua ricerca di un porto di pace dove poter approdare. Ai suoi occhi, per un istante la mano del Re divenne quel porto. Fu l’illusione più dolce che le potesse regalare.

Mosse il primo passo verso il ciglio di quel baratro che l’uomo davanti a sé personificava, mentre in lei la speranza nasceva e cresceva, come un vento impetuoso, gonfiando le vele del suo struggimento. La fanciulla incedeva maestosa come una leonessa, eppure esitante come una bimba che ha appena imparato a reggersi in piedi. Sarebbe stato certamente bellissimo. Un bellissimo sogno.
Un sogno.
Nient’altro che un sogno.

L’incanto che l’aveva avvinta si spezzò, e con esso anche la serratura di quella porta che voleva tenere chiusa fino alla morte. La soglia si spalancò dinanzi alla sua memoria, e dall’interno della stanza proibita una piccola Sephrine le sorrise beffarda, come a dirle: quanto sei stupida, era ovvio.

Già, era ovvio che fosse solo un sogno.

La mano candida della fanciulla, lenta e titubante dall’emozione, stava per sfiorare quella del Re quando si ritrasse di scatto, con forza, come se si fosse ustionata. Il sorriso che le illuminava il bel volto scomparve, lasciando il posto a un’espressione di sgomento. Appariva disorientata, come se non capisse più cosa stesse facendo e perché; ogni singola cellula del suo corpo si ribellava mutamente al suo comando, voleva andare avanti, proseguire su quella strada senza ritorno, ed andare incontro all’altro, come attratta da un magnete.

Confusa e spaventata dalla stessa entità di quel desiderio che era stato risvegliato, parlò come avrebbe fatto una sonnambula, assente, senza nemmeno rendersi conto di quello che diceva.

« No. »

(Tu non mi ami, aveva sussurrato al padre mentre si approfittava di lei, tante e tante volte)

Questa fu l’unica sillaba che riuscì a formulare, con voce tremante; e adesso anche lei era in preda ai brividi. Si esprimeva in maniera sconnessa, come un disco rotto.

« No. »

ripeté con una certa difficoltà

« No, io… »

(Tu non mi ami, aveva gridato contro il marito che le avevano imposto, prima di ucciderlo)

« Tu… »

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Nello stato in cui era, aveva totalmente scordato l’uso del voi. La formalità era lontana anni luce. Alzò gli occhi e li puntò sulle fessure della maschera, mentre la piccola Sephrine nella stanza della sua mente le sorrideva, derisoria. Tutti i ricordi che aveva ammucchiato in quel rifugio di fortuna le crollarono addosso con la violenza di una valanga.

« Tu… non mi ami… »

Scoppiò a piangere, sopraffatta, e non riuscì a dire altro. Con rabbia, la mano che indossava Walpruga scattò verso il petto, artigliandolo come se volesse estrarre il cuore. Ed effettivamente lei avrebbe preferito strapparselo e gettarlo ai piedi dell’altro, ancora pulsante, pur di non sentire quel dolore insopportabile.

Il vestito bianco si lacerò in più punti, tingendosi lentamente di vermiglio, fintanto che le lacrime scorrevano come un fiume che ha abbattuto la diga. C’era da chiedersi da quanto tempo dovesse maturare, quel magone, per sfogarsi con una tale intensità.

Si era preso di gioco di lei. A pensarci bene, era perfettamente logico che dopo solo pochi minuti a partire dal loro primo incrocio di sguardi non poteva amarla. Santo cielo, non sapeva neppure il suo nome! Ci era cascata come una povera demente, si era fatta prendere in giro per bene, e ora ne pagava le conseguenze.

Stupida per averci creduto, e mille volte stupida per avergli mostrato il suo lato più debole.

Non appena la voce, seppure spezzata dal pianto, ebbe riacquistato un minimo di intelligibilità, si rivolse nuovamente all’uomo; il tono era vibrante, segnato dalla calda indignazione che provava per un simile colpo basso.

« Il mio sogno, caro, era di diventare una sposa, non una donna di bordello.
Come ho detto, potete spezzare quel che vi riesce del mio corpo; ma lasciate i sogni già in frantumi al loro riposo. »


Tra le lacrime, i suoi occhi di purissima acquamarina rilucevano come stelle; e la tristezza sembrava farla più bella.

Era vero: aveva tanto voluto, fin dalla sua infanzia, diventare una sposa felice, degna di portare un bouquet di fiori bianchi come la neve. Nessuno poteva insultare questo suo miraggio; non si sarebbe mai concessa ad un estraneo come una qualsiasi prostituta.

Non lo sapeva, ma nel turbine di ricordi aveva aperto per un attimo la propria psiche all’avverso. Cosicché, nella difesa dalla sua malia, gli aveva permesso di intravedere le stesse immagini del genitore e del marito che si erano presentate a lei, nel flusso disordinato di reminescenze. Se se ne fosse accorta, si sarebbe adirata con se stessa più di quanto non facesse in quel momento.

« Oppure toglietevi la maschera, ritiratevi dal duello e giurate sulla vostra vita di amarmi in eterno, e io vi crederò… »

Umana, troppo umana nella sua schiettezza.

In caso contrario, tuttavia, il Re non avrebbe potuto confidare nella sua pietà. Già adesso, dal suolo su cui erano cadute le sue lacrime si sviluppava una creatura trasparente, composta per intero di acqua, che al primo accenno di rifiuto – oppure di silenzio troppo prolungato – si sarebbe gettata contro di lui, per esplodere in un vortice di lame.

Si sarebbe trattato di un elementare attacco di distrazione; altri due simili, infatti, sorgevano dal terreno dietro a Ray per assalirlo alle spalle, non appena questi avesse tentato di proteggersi dal primo.
Non aveva la forza di concepire nulla di meglio, in quelle condizioni.

Eppure, avrebbe tanto voluto trovare una persona che rispondesse affermativamente alla richiesta che gli aveva posto. Se l’avesse trovata, avrebbe accettato di essere la sua legittima compagna non fino al prossimo novilunio,
ma per il resto della sua vita,
finché morte non li avesse separati.


Che dolore sognare per chi
Non può vivere i sogni che fa…

Né abbracciarti né ucciderti
Può darmi pace…

C’è un destino di rondine
In noi…
Ci fa sempre tornare fin qui,
Oltre i secoli, i mari, gli eroi
Per amore…!







SPOILER (click to view)
Tecnica: Il Velo della Mente e del Pensiero
Consumo: Medio (8%)
CITAZIONE
La psiche della sirena è come uno specchio di limpida acqua, buono a riflettere solo ciò che è reale: ella può preservare infatti magicamente il proprio cervello da attacchi di matrice psionica, dato che questo sortilegio le concede di avvertirli nonché di tutelarsi in modo parecchio efficiente contro di essi. Qualora venisse a stabilirsi un contatto mentale fra i due opponenti, la fanciulla può allora ricorrere ad un velo di aura che abbraccia il suo intelletto ed i suoi sensi per strapparli subitaneamente dalla mente della controparte. Tale velo custodisce e protegge le sue capacità di discernimento proprio come se si trattasse di una barriera tangibile di consumo medio che si insinua tra i contendenti, ma detiene anche altre caratteristiche abbastanza peculiari: unendolo alle inclinazioni illusorie della giovane si perviene inoltre ad ottenere una specie di subdolo tranello tra le pieghe nascoste del suo raziocinio, perché il maleficio, lungi dal ridursi ad arginare ogni insidia nei confronti della sua artefice, riesce anche a creare un complicato e labirintico meccanismo di allucinazioni che rapiscono la concentrazione dei contendenti per qualche breve attimo. Non si pretende affatto che i rivali ne rimangano vittime, ma è già sufficiente che le suggestioni generate dal velo estorcano loro un momento, affinché la giovane possa approfittarne per portare a segno una celere azione offensiva ancora prima che la ragione della distrazione altrui venga infine a scomparire. Accade che i soggetti considerati arrivino a distogliersi dal diversivo in modo da tentare di fare una schivata provvidenziale: tuttavia il ritardo così accumulato li porta sovente a incassare lo stesso una frazione del danno.

Tecnica: Golem della Burrasca
Consumo: Medio (8%)
CITAZIONE
Unendo il proprio dominio sui liquidi con quello in materia illusoria, per la dama è enormemente semplice creare alcune creature composte di pura acqua, ma ammantate con una coltre di energia che imita delle sembianze realistiche per gli eventuali osservatori. Questo aspetto immaginario ed ingannevole rimane però opzionale, dato che la sirena può anche limitarsi a originare entità chiaramente magiche, con un consumo che di conseguenza diminuisce rispetto a quello della stregoneria supportata dal fattore suggestione: un consumo che si corregge anche in relazione alla cifra totale di esseri evocati tramite il sortilegio. Essi si comportano secondo il volere della ragazza: non avendo mente propria non possono nemmeno venire manovrati da incanti di dominio psionico. Di solito le mansioni che questi assolvono si restringono allo svolgere qualche semplice incarico per conto della propria signora; se è la giovane ad imporlo, possono però soddisfare molteplici funzioni offensive, come ad esempio avvicinarsi ad un opponente ed allora esplodere in un vortice di taglienti lame acquatiche. La loro tempra e robustezza cambiano soprattutto insieme alla mole e al volume del fluido in cui sono interamente plasmati, ma anche in base alla pressione, quando essa si trova alterata dalla speciale abilità passiva della sirena che le consente di variarla a piacimento: i servitori convocati possono restare in gioco per al massimo due round.

Energie residue: 88% - 16% = 72%
 
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Re Mascherato
view post Posted on 3/5/2008, 15:26




"Oh; uno storpio che chiede una moneta sa essere molto più coraggioso di quanto io sia mai stato.
Alla fine, come Re, regno su tutto tranne che su di me.
"


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A questo punto, la nostra storia si distacca bruscamente dalla favola originale, seguendo un percorso differente.
Il pittore chiamato dal Re s'era rivelato un fallimento, ma lo stesso non si era potuto dire del comportamento del filatore, colui che trama gli inganni e tesse le bugie.
La sua opera si rivelò talmente splendida e magnifica che, per un breve istante, al Monarca sembrò di aver raggiunto il suo obbiettivo. Il lavoro del tessitore era lieve e morbido fra le sue dita come aveva ordinato, e i colori erano talmente magnificenti da riempire i suoi occhi di lacrime sincere, che si riversarono, sprezzanti dell'ira che avrebbero scatenato nel sovrano, sullo stesso arazzo che aveva ordinato di curare e disegnare.
Qualcuno, però, assistendo alla scena, venne roso dall'invidia.
Nascosto dall'ombra delle colonne, poco lontano, il cacciatore rosicchiava come un topo le proprie unghie rotte dalla rabbia e dalla fame, lasciando che cadessero in pezzi lungo il terreno, macchiandosi le labbra del suo stesso sangue.
Gelosia. Verso il filatore, e verso il suo capolavoro.
Gelosia, inarrestabile. Convinzione che lui sarebbe riuscito a soddisfare il proprio sovrano in modo molto più efficiente di quanto quel povero tessitore fosse riuscito a fare in così poco tempo.
Gelosia, per tutti gli anni che aveva passato immeritatamente a fianco del suo Re.
Così, pian piano, nella mente del terzo servitore iniziò a delinearsi un machiavellico piano che, di lì a poco, lo avrebbe portato a risplendere come la più luminosa delle stelle, agli occhi del suo Monarca.
________________ ____________ __ _

Tremò, in trepida attesa.
Il fremito partì dal gomito, scuotendo lievemente e impercettibilmente tutto il braccio, fino alle punte delle dita. Dolorava, fermo in quella inusuale posizione, teso immobile innanzi a se.
Vide la mano di Sephrine avvicinarsi lentamente, angosciosa. Quasi completamente immobile, come sospinta dalla brezza.
Dietro la maschera, il Re dovette mordersi la lingua ancora una volta, soffocando lo scortese impulso di muovere un passo in avanti e afferrarla per i polsi, per poi trarla a se.
Ogni attimo che passava la desiderava maggiormente.
Poteva sentire i loro palmi stendersi l'uno sull'altro anche attraverso la flebile distanza che li separava, ormai elettrica per la tensione che ne scaturiva.
Sognò l'attimo in cui le dita di lei ne avrebbero accarezzato solo con le punte la superficie, percorrendola fino ai polsi, abbandonandosi senza forza ai fianchi, cosicché lui stesso avrebbe potuto cingerla alla vita, e condurla a se nella più meravigliosa delle danze.
L'avrebbe stretta con la dolcezza dell'amante e con la forza di colui che dirige fra i due, lasciando che gli giacesse sulle spalle e che accarezzasse la sua schiena rigida, fredda come quella di un trono.
Ne avrebbe sfiorato le labbra con le dita, soffice come una piuma che scende verso terra, e avrebbe giurato d'amarla per sempre. O, perlomeno, fino al prossimo novilunio, quando l'incanto si sarebbe dolorosamente infranto, inevitabilmente.
Una timida goccia di sudore fece capolino da dietro il velo per tracciare un lungo percorso sul suo collo, scendendo fino a quello dei suoi abiti, infradiciandoli.
Non mancavano che pochi centimetri, ma più lei si avvicinava, più si faceva lenta.
Si scoprì a respirare affannosamente, come preda del più grande dei piaceri carnali.
I suoi occhi si riempirono di lacrime nel vedere la mano compiere quei pochi, ultimi millimetri che li dividevano, come le labbra di due amanti in procinto di concedersi a se stessi. Ma quando anche la sua mente finì con l'abbandonarsi alla più dolce delle prospettive, vide Sephrine esitare.
La vide fermarsi, incapace di compiere quell'ultimo gesto che all'interno del Re era già stato deciso da ben prima che le porgesse l'invito.
I suoi respiri si fecero più lenti, come se la morte in persona stesse sopraggiungendo ad accompagnare la consapevolezza che, in quell'istante, la mano di lei stava iniziando ad allontanarsi.

« ...No. »

Fu un rantolo soffocato, quello che sfuggì alle sue labbra. Un pensiero che non era riuscito a impedire raggiungesse la gola. Troppo sconvolto per accorgersi che, nello stesso istante, lei si era data al medesimo sospiro.
Sentì il suo cuore mancare un battito e assistette alla sua mano che, senza che lui gliel'avesse ordinato, si allungò in uno spasmo verso quella di Sephrine, che si stava già allontanando, troppo debole, però, per poterla anche solo raggiungere.

« No, io... »

"...Io ti amo." Avrebbe voluto dire. Ma le parole si rifiutarono di uscirgli, soffocandoglisi in gola e impastandosi malamente nella sua lingua, come se non fosse capace di pronunciarle.
Deglutì sonoramente, troppo perso nei suoi pensieri per poter anche solo rendersi conto di star facendo null'altro che il verso alla sua "avversaria", maleducatamente.
I pensieri si accavallarono nella sua testa, uno dopo l'altro, nascondendo ciò che di veramente importante avrebbe dovuto ragionare, e confondendolo più di quanto già non fosse.
Avrebbe voluto dire altro.
Avrebbe voluto parlare ancora, con la stessa voce calda e profonda che prima, quasi non sua, gli era sfuggita dalle labbra. Ma più Sephrine si allontanava, più lui si ritrovava incapace di aggiungere altro, o anche solo di cercare un modo per riavvicinarla a se.
Pochi, dopo quello scontro, avrebbero saputo della facilità con cui quella ragazza era riuscita a levare la corona al Re.

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Quando la sua mente confusa fu invasa dalle immagine che l'altra stava, probabilmente inconsciamente, proiettando in lui, dai suoi occhi si liberarono alcune lacrime, imprigionate sino a quel momento da una volontà che ormai non era più sua.
La vide bambina, mentre il padre abusava di lei senza che potesse reagire. Nulla che potesse essere definito amore.
Ne vide il marito, costrettole, che lei si ritrovò ad uccidere.
Ma soprattutto vide un buco nel cuore di lei, che da sempre, terribile e cavernoso, attendeva di essere riempito dall'amore di qualcuno. Soffocato al di la dei suoi modi e dei suoi costumi, vide la bestia che si celava in lei gridare come disperata, chiamandolo, e al tempo stesso urlandogli di allontanarsi.
Fu solo quando lei si afferrò il petto, che ne distolse lo sguardo.
Lo rialzò verso il suo volto, scoprendo che condividevano le stesse lacrime, almeno in apparenza, e non fece nulla. Estatico, la attese gentile, temendo una sua reazione nel caso in cui si fosse mosso, o avesse compiuto qualcosa di sgradito.
Poi, la voce di lei lo trafisse come una lama, gelida come il ghiaccio.
Sentì il disprezzo nella sua voce, tanto potente che ogni sillaba sembrava tuonare nei timpani e nel petto del Monarca, accelerandone il battito come quando ci si allunga sull'orlo del precipizio. A pochi attimi dalla morte del cuore.
Si graffiò le labbra, tagliandosele con i canini, ma il sapore del sangue era incredibilmente dolce, rispetto a quello del dolore che gli agitava le budella.
Chiuse le palpebre, ormai inumidite dalle lacrime, dolorosamente salate, che avevano lentamente raggiunto le labbra.
E poi, fece quello che gli era stato chiesto.

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"Senza corona... io cadrò?"
"No, mio Re. Ora stai volando più alto della speranza."

Se solo fosse stato così coraggioso da arrendersi, forse non si sarebbe smascherato in quel modo.
Se solo avesse trovato la forza di tornare a essere se stesso, invece di lasciarsi trasportare dalle emozioni, forse non avrebbe dovuto mostrarle il suo volto, che non aveva imperfezioni, né sbavature, ma incarnava le fattezze dell'inganno e della menzogna, come fossero fatte a immagine d'uomo.
I capelli corvini si liberarono come prendendo una boccata d'aria, soffocati fino a quell'istante dal cappuccio della veste e dalla porcellana.
Il Re alzò quindi una mano verso il viso, ignorando le creature richiamate dalla sua avversaria, pronte ad attaccarlo alla minima esitazione.
Allungò un pollice, e allontanò da una delle sue guance i segni delle lacrime che la solcavano, chiudendo gli occhi con regalità, e lasciando che i polpastrelli la sfiorassero appena.
Dopodiché, rivolse nuovamente il suo sguardo a Sephrine. Fermo e deciso, come quello che dovrebbe avere un vero regnante.

« Lo farò. »

Non pronunciò la parola "Amare", troppo estranea a lui perché la sua lingua potesse formularla. Ne si arrese al suo ritiro dal duello, benché l'avesse appena giurato.
Non mentiva.
L'unica passione dominante in lui, in quell'istante, era quella di poter concedersi a lei, e poterla stringere fra le sue braccia.
La sua voce era suonata calda e potente, come il reale verbo di un Re.
L'avrebbe amata. Per sempre. La sua voce, le sue lacrime e il suo sguardo gli facevano da testimoni, confermandone ogni più flebile sussurro.
Come se tutto ciò non fosse abbastanza, poggiò lentamente un piede sulla maschera riversa al suolo, la sua corona.
Un attimo d'esitazione, e poi iniziò a fare forza, fino a frantumare la porcellana.
Il volto di Loec lo guardava ora stranito dal suolo, in pezzi.
Sospirò liberatorio, e allungò entrambe le braccia in avanti, lasciando che il suo sguardo si addolcisse.

« E ora, ti prego, lascia che possa stringerti a me. »

Non si mosse, poiché le sue gambe tremavano per la debolezza che in cuor suo sapeva di stare dimostrando, e attese che lei facesse quel piccolo sforzo, fisico e psicologico, necessario a superare l'invisibile muro che li aveva divisi fino a quell'istante.
Respirando affannosamente, non si accorse che qualcuno, in quella sala, tramava contro di loro.
Qualcuno che bruciava di gelosia e si rodeva le unghie divorandole come un topo, nascosto dalle ombre della camera scura.
Qualcuno che aveva servito il Re fin dalla sua nascita, e che non poteva permettere di essere sostituito dalla prima ragazza che capitasse a tiro.
Qualcuno che aveva sacrificato la sua vita più e più volte per il suo Signore.
Un cigolare di lamiere, preannunciò l'arrivo del cacciatore, il più fedele e obbediente dei servi del Monarca, invidioso dell'opera del suo filatore.
Il Golem, il cavaliere di Ray, il compagno di tutte le sue avventure, comparve dalle tenebre alle spalle di Sephrine, imponente come mai era stato.
Statuario, la squadrò con occhi gelidi dall'alto della sua maestosità, ricolmi d'ira.
Lo sguardo di Ray si riempì di terrore quando vide la mano della creatura scendere velocemente verso la sua ormai ex-avversaria. Anche volendo, non sarebbe riuscito a muoversi in tempo per fermarlo, e la bestia avrebbe sollevato la ragazza stringendola fra le proprie dita, per poi stritolarla, riconquistando il suo Padrone.
Meticolosamente, il cacciatore aveva scelto il momento migliore per distruggere l'opera del filatore, e proseguire col delinearsi della favola.

SPOILER (click to view)
CITAZIONE
Ferite: Nessuna
Energia: 38%
Status Golem: 100% [Primo turno su Tre]
Note: In questo post il golem andrà considerato come se evocatosi spontaneamente e da solo. Tuttavia è un semplice sacrificio interpretativo: A livello di gioco tecnico ho scalato naturalmente il costo della tecnica all'energia di Ray.

CITAZIONE
S i i l a m i a F o r z a ~ [...] Questo potere può essere canalizzato tramite la parola.
Come molti dei suoi avversari avranno potuto notare, infatti, Ray è una persona che ama molto ascoltare la sua stessa voce, nonché distruggere e infrangere l'orgoglio avversario tramite di essa, parlando e conversando all'interno del duello come se lui e l'altro fossero tranquillamente seduti a fare salotto. Tutto ciò ha conferito al ragazzo un carisma non indifferente, e un'invidiabile capacità persuasiva, impressionante a dire la verità. Spendendo un consumo pari a Basso, e impregnando le parole di carica psionica, tutto ciò che Ray dirà alle orecchie dell'avversario passerà per vero, indipendentemente da ciò che lui dica. Le sue capacità di parlatore possono perfino convincere le menti più deboli del contrario di tutto ciò che pensano, distruggere i loro ideali, rigirarli a piacere o, addirittura, variarne i ricordi. In ogni caso, la veridicità delle parole di Ray sarà inoppugnabile in qualsiasi situazione, non importa quanto sia grande la bugia da lui architettata. Anche se questo non comporta all'avversario di comportarsi in un qualche modo. Non è infatti possibile per Ray ordinare a qualcuno di fare qualcosa tramite questo potere, e sperare che lui lo faccia, e non solo che vi creda. Quest'ultimo effetto consuma naturalmente uno slot tecnica del turno. [Utilizzato per rafforzare il "Lo Farò", che passerà per inoppugnabilmente vero alle orecchie di Sephrine, salvo difese eventuali.]
S i i i l m i o C a v a l i e r e ~ Ray è in grado di evocare ad un costo Critico, una sola volta durante il duello, il suo potentissimo cavaliere. Questi altro non è che un golem di ferro, rappresentato da un enorme cavaliere in armatura, armato di una possente spada. Il costrutto va considerato d'un energia inferiore all'evocatore, com'è solito, ma anche come un'evocazione di livello critico priva di alcun potere che non sia rappresentato dall'altezza della creatura e dalla sua struttura in ferro. Il fatto che l'evocazione sia di così alto livello benché la creatura sia priva di poteri particolari implica che la sua forza, resistenza e qualsiasi altra statistica sia immensamente alta per i normali standard. Il golem è infatti in grado di resistere facilmente a molti dei colpi dell'avversario, seppur sommariamente, e subire un numero incalcolabile di colpi fisici rimanendone indenne, grazie alla sua ferrea costituzione.
Nonostante le sue apparenze, è dotato di un'agilità considerevole, e di una velocità non dissimile. La sua forza è inoltre in grado di frantumare qualsiasi tipo di roccia col minimo impegno, rendendolo una delle creature più potenti di Asgradel. Essendo un costrutto, sarà immune a qualsiasi tipo di condizionamento psicologico e/o illusione, purché non sia votato a colpire appositamente le evocazioni.
Il degno cavaliere di Ray.
Il golem va considerato un'evocazione di livello critico. Se non richiamato, resta sul campo per due turni dopo quello d'attivazione, svanendo al termine del secondo turno, per un totale di tre turni.

 
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Juliette
view post Posted on 6/5/2008, 21:40





“Quando la incontrai, Sephrine combatteva nelle arene per denaro. Una volta andata via di casa, non conosceva altro modo per guadagnare molto e alla svelta; eppure al tempo aveva già parecchi pretendenti, fra cui alcuni riccastri che sarebbero stati ben felici di pagare per la sua compagnia, o perfino per la sua mano. Quindi davvero non mi spiegavo perché si intestardisse a fare quella vita di merda. Mi sorprendeva.
Si è prestata a cose disgustose, ma non si è mai venduta.
Avrebbe potuto farlo. Avrebbe potuto evitare la maggior parte di tutto quello schifo, ma non l’ha fatto. E tutto questo per un verbo, capisci?
Per un amare che non si lasciava coniugare all’imperativo.”

~ Dalle Epistulae ad Lascaeum




Lei non poteva vedere l’uomo nella stanza
Perché i suoi occhi non erano abituati alla notte
Ma la notte la conosceva
Era sua figlia.

Piccolo paradiso in piccola parte di mondo!
Esistono tanti modi di morire,
E se avesse potuto scegliere, avrebbe voluto
Morire lì, in quel momento.

Tutti gli amori che puoi aver provato
Dovevano essere qualcosa che non si può raccontare con le parole
Per essere veri?

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Il modo in cui mi abbracciava
Poteva davvero essere falso?
Il modo in cui mi cambiava, piano,
Poteva davvero essere falso…?

Le bugie mi sconvolgono la testa
Allora perché mi hai mentito?

È troppo facile amare,
quando non si sa odiare.


Era davvero tutto falso?


Quando da bambina scrutava fuori dalla finestra della sua stanza, che dava sulla scogliera, davanti a lei, lontano lontano, cielo e mare si rincorrevano disperatamente. Si inseguivano con la foga di un’accanita passione che faceva quasi male a vedersi, senza riuscire a congiungersi, se non in quel punto – un punto così piccolo, così sottile! Ed era questo a stupirla – un punto, insomma, un misero punto chiamato orizzonte, in cui però entrambi si tuffavano come due amanti a lungo separati che si gettano tra le lenzuola.

Ed era incredibile, semplicemente incredibile, che una cosa minuscola come l’orizzonte, così insignificante rispetto alla stupefacente immensità del cielo e del mare, riuscisse a contenerli entrambi, a sposarli in un patto rettilineo che proseguiva interminabile. Dove trovasse mai la forza per correre così veloce, una linea tanto insignificante, non lo sapeva. Davvero, non lo sapeva, né conosceva il desiderio che permetteva ad acqua e cielo di continuare a rincorrersi pur di incontrarsi finalmente in quell’unico luogo.
No, non lo sapeva.
E non riusciva a smettere di stupirsi nonostante li osservasse per ore. Con invidia.
Con invidia perché, naturalmente, anche lei avrebbe voluto un orizzonte nel quale unirsi con il cielo.

Una remota aspirazione che vide appagata non appena, finalmente, la maschera bianca calò dal volto del Re. Come una nube che, se prima velava la volta celeste, ora si dissolveva, concedendole di affondare lo sguardo nello spazio illimitato del firmamento.
Gli occhi della giovane, profondi come l’oceano, si immersero nel vasto cielo che erano quelli di Ray, e la distanza tra di loro si fece orizzonte.
Azzurro dentro azzurro, come riflesso in uno specchio. Naufragò in quel colore che sapeva di infinito, sentì dolce il suo annegare, e si perse completamente.

Una debole traccia argentata segnava la guancia del giovane, un riverbero luminoso che testimoniava il passaggio di una lacrima; nel distinguerla, Sephrine seppe di non voler chiedere altro. Nessuno aveva mai pianto per lei; non che sapesse, almeno. Era turbata, addirittura sconcertata di fronte ad una tale commozione, lei che non si era permessa nessuna pietà verso se stessa né verso terzi in tutta l’esistenza.

Un inusitato senso di colpa prese possesso della fanciulla, che si rimproverò duramente di aver fatto piovere da quelle iridi di cielo. Non voleva, non era questa la sua intenzione…
Per favore, no, non voleva che lui piangesse a causa sua…

Sephrine, che era rimasta pressoché imperturbabile ogni volta che aveva visto scorrere a fiotti il sangue, mantenendo sempre freddo il proprio, davanti ad una lacrima sincera improvvisamente non sapeva più cosa fare. E d’istinto, non sapendo proprio come reagire per arginare il danno che aveva provocato, ricominciò a piangere lei stessa, totalmente smarrita, come se supplicasse aiuto in quella situazione sconosciuta.

Ecco, è che quella lacrima bastava, non serviva che lui la amasse davvero. Sul serio, non ce n’era bisogno… si poteva accontentare del ricordo di una goccia lucente, le bastava sapere che qualcuno aveva pianto per lei… bastava così, grazie, era sufficiente… era già troppo, anzi, per una come lei, non poteva pretendere ancora qualcosa, non voleva abusare della fortuna e incorrere nelle sue ire. Già troppo, per una come lei… non chiedeva, non meritava nulla di più…
Una come lei… Non…
Veramente…

CITAZIONE
« Lo farò. »

Pianse, in silenzio, senza potersi imporre di smettere, e abbassò lo sguardo.
Lo odiava per stare abbattendo le sue difese una per una, per farle mostrare un viso rigato di pianto della quale tanto si vergognava. Lo odiava perché la faceva essere vulnerabile con la sua delicatezza, davvero, lo odiava a morte.
Lo odiava… anche se neppure ripetendolo arrivava a convincersene.

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Tra coloro che avevano cercato di appropriarsi con la forza della farfalla, solo lui aveva intuito che una carezza poteva riuscire là dove la prepotenza falliva. Le falene, in fondo, si gettano nel fuoco poiché ne sono affascinate; e anche la dama non poteva non rimanere soggiogata al gusto seducente della gentilezza.

Il passo con cui Ray infranse il simulacro di porcellana, che giaceva inerte a terra, le risuonò in testa come uno sparo di fucile. Sephrine tremò violentemente, mentre la mano armata ricadeva lungo il fianco, cessando di stringere il suo petto nella morsa tormentosa con cui si era torturata fino a quel momento.

Sbatté le lunghe ciglia, stordita, come se non riuscisse a capacitarsi di ciò che eppure era convinta di avere realmente udito pronunciare. Non aveva propriamente creduto che lui avrebbe formulato il giuramento; forse l’aveva sperato, ma nel profondo non ci credeva, traboccante com’era di assoluta sfiducia nei confronti del genere maschile. Era stata tradita tante volte; a livello razionale sapeva che a maggior ragione non avrebbe dovuto fidarsi, non avrebbe dovuto aprirsi alla promessa che quelle poche parole sembravano porgerle, ma era tale l’intensità con cui voleva credergli che non ebbe alcuna voglia di opporsi.

La voce stanca e teneramente arresa, il tono flebile e la caduta a terra degli artigli metallici siglarono la sua capitolazione.
Solo una domanda, prima di raccogliere il coraggio per saltare nel dirupo e spiccare il volo.

« Sarai anche tu qualcosa a cui dovrò sopravvivere? »

Non si mosse, temendo che le cedessero le gambe nel tentativo. Tremava appena, in maniera impercettibile, e non accennava a sollevare gli occhi dal pavimento. Si strinse con il solo braccio che aveva, come se intorno a lei spirasse un vento gelido: d’un tratto, appariva indifesa al pari di un cucciolo appena nato.

Qualcosa si era sciolto dentro alla sua figura, qualcosa che scomparendo aveva lasciato dietro di sé solo un grazioso scricciolo di donna. Mai era sembrata così esile, mai così inerme. Le labbra rosse e tumide convertivano i suoi respiri in singhiozzi trattenuti, che la scuotevano da cima a fondo; intanto felicità e melanconia si combinavano in una cosa sola, trasformandosi in un fiume che le attraversava il corpo per sgorgare poi dalle palpebre, in stille bollenti e salate.

Come un bocciolo che si schiude, ella si era rivelata al Re, cedendogli il suo miele sotto forma di lacrime.
E come un fiore fu colta e strappata barbaramente dal terreno, per mezzo di una mano insensibile alla sua fragile bellezza in quel momento. Le dita del golem le si serrarono intorno, levandole via la pietra da sotto i piedi e portandola in alto, trovandola irrilevante per peso e statura.
Presa, catturata.
Tradita.
Ecco, quella sì che era una sensazione conosciuta.

Il sapore amaro del disinganno, familiare quanto rivoltante, le avvelenò la bocca, e si scoprì priva della forza per infuriarsi, per vendicarsi o anche solo per chiedere perché. Non aveva più la forza per fare niente.
Più in alto si crede di volare, più ci si fa male quando cade.

Nei suoi grandi occhi, che tornarono a rivolgersi al Re, si leggeva unicamente delusione. Erano asciutti, adesso, non avevano più acqua da versare dai laghi limpidi che racchiudevano. Eppure chiunque, al cospetto dello sguardo rassegnato e avvilito della ragazza, avrebbe potuto ugualmente comprenderne l’immensa tristezza.

Ricordava che, una volta, una domestica le aveva insegnato a congelare i fiori per non farli morire. Imprigionati nella loro gabbia di cristallo, in effetti, potevano durare anche per mesi senza rovinarsi: ma erano immobili, in qualche modo anche artificiali, e non le piacevano. Tuttavia, quando li liberava essi appassivano tra le sue mani, senza che si potesse trovare rimedio. Così aveva imparato che era meglio lasciarli nella pace del ghiaccio.
Ray aveva rapito un fiore congelato e lo aveva cullato nel suo calore, riscaldandolo fino a farlo sciogliere, finché quel fiore non aveva inevitabilmente iniziato a morire.

Le dita di metallo strinsero.
Rompendosi, l’osso del braccio fece un bel rumore, pulito, di ramoscello secco che si spezza. Lo ascoltò come se non la riguardasse, come se arrivasse da lontano. Il dolore arrivò subito dopo.

L’ira del titano, che aveva solo cominciato a sfogarsi, proseguì nella sua opera crudele e metodica. Provò a schiacciarla come il guscio di una noce, e le carni tenere non gli opposero resistenza. Sephrine vomitò tutto il fiato che aveva in un lungo urlo, un grido che lacerò l’aria con il fragore del tuono, mentre sotto la pressione esercitata dal colosso le sue costole insistevano sui polmoni e si incrinavano. Per la prima volta nella sua vita, colei che sapeva respirare persino in acqua provò l’orrore del soffocamento.


Mi svegliai roteando vorticosamente.
Mi svegliai come si cambia opinione, come si risale dal fondo di un pozzo,
attirato dal disco luminoso in superficie.
Continuavo a ripetermi: « sei in fondo al pozzo e lassù c’è il cielo.
Sali! Sali! Sali ancora! Ancora, più su! »
Ma il disco di luce sembrava inaccessibile.
Mi sentivo soffocare mentre risalivo, stavo soffocando… L’aria cominciava a mancare…
Grappoli di bolle scintillanti correvano a tutta velocità lungo lucenti muraglie d’acqua…
« Sono più veloci di te… annegherai prima di raggiungere la luce,
morto annegato, e ricadrai laggiù in fondo, dove tutto è così nero…
così nero e freddo. »



Allungò la testa con uno sforzo disperato, aprendo la bocca come se tentasse di mordere e ingoiare l’ossigeno che il torace, oppresso, non poteva accettare. La vista cominciò ad offuscarsi; nondimeno, con gli occhi che si appannavano ella continuava caparbiamente a cercare la sagoma del Re.

Non sapeva ancora il suo nome, pensò incoerentemente.
Sulla lingua aveva il sentore denso del proprio sangue, ma non la forza di parlare per reclamare quel nome. Si fece pena da sola, lei e le sue sciocche fantasie, ora che non aveva più nemmeno un braccio sano con cui reggere il mazzo di fiori che avrebbe dovuto accompagnarla all’altare.

Il dolore era insopportabile. Chinò il capo, i lunghi capelli che parevano di lucida ossidiana che si riversavano in avanti nel pietoso gesto di coprirle la faccia, distorta in una smorfia di sofferenza. Fu allora che la presa del cacciatore si fece meno salda attorno al suo corpo.

Il ferro a contatto con la pelle di lei iniziò a sciogliersi come burro sul fuoco, e come questo forse anche il resto della materia che componeva il mostro. Sephrine ebbe a malapena il tempo di richiamare le creature magiche che aveva convocato poc’anzi, che reagirono prontamente e si gettarono nella sua direzione, prima di precipitare repentinamente in braccio a loro, sfinita e boccheggiante. I tre esseri la trassero in salvo dall’impatto col suolo e si distrussero nello svolgimento del proprio compito.

Così, in un tripudio di getti d’acqua, come tuffandosi in un’enorme fontana, la farfalla atterrò sulla pietra. Fradicia, con le ali distrutte e appena la sua determinazione a tenerla cosciente. Si rifiutava di morire da vinta, distesa e abbandonata come un rifiuto, anche se rottame era e rottame si considerava – una bambola che perdeva pezzi come fosse difettosa.

Si concesse un lungo e stentato respiro, urlando quando l’aria le bruciò i polmoni, riempiendoli di quello che le parve fuoco allo stato liquido.

Cercò di issarsi con il braccio rotto, ignorando gli spasimi che le strappavano gemiti e lacrime, e con ostinazione disumana provò e riprovò. Non riuscendo a muovere il braccio dalla spalla in giù, che dondolava inerte, si appoggiava goffamente a terra con il gomito e tentava di fare leva sull’osso, procurandosi un male infernale. Sopportando il suo peso sulla frattura si sollevava un poco, ma mai abbastanza da permetterle di mettersi almeno seduta.
Non era niente, si ripeteva; frattanto pensava a Luna, a Tanj e a Salem, pensava che aveva sulle spalle l’orgoglio di essere il loro capitano, e si impegnava a raddrizzarsi con rinnovato vigore, inutilmente.

Non aveva il coraggio di guardare Ray. Se lo avesse scoperto a ridere di lei, probabilmente avrebbe perso del tutto la ragione e quel poco controllo che ancora esercitava su di sé. Doveva concentrarsi sul braccio, alzarsi in piedi e finire il gigante, se pure rimaneva qualcosa di lui dopo che ella lo aveva indotto allo sfacelo a costo di più che ingenti energie.


E finalmente sfondai l’involucro di luce…
uscii all’aria aperta, grondante e con i polmoni in fiamme.
Il sole mi afferrò in pieno volo,
i suoi raggi mi inchiodarono al suolo, e io rimasi là,
abbagliato e palpitante come una farfalla scampata alla cattura.
Sentivo addosso il mio peso enorme di farfalla inzuppata.
Troppo pesante per muovere la più piccola antenna,
troppo stordita per comprendere le parole che esplodevano nella luce intorno a me…



Come un piccolo, piccolo fiore dallo stelo spezzato, lei languiva.




SPOILER (click to view)
Purtroppo per l’eventuale lettore, le citazioni iniziali sono della sottoscritta; provengono rispettivamente da un brano di prosa, un aborto poetico e da un abbozzo di canzone.
Quelle finali invece sono di Daniel Pennac, dal romanzo Kamo.

Tecnica: Alterazione in Fluido
Consumo: Critico (32%)
Nota: Per non fare errori, lascio giudicare a Ray fino a che punto si spinge il disfacimento del golem. Nelle mie intenzioni dovrebbe raggiungere almeno la metà, ma potrei anche sbagliarmi.
CITAZIONE
In genere la fusione è un fenomeno di transizione che consente il passaggio di una sostanza da uno stato solido ad uno liquido per avvenuto assorbimento di calore da parte del corpo preso in esame: eppure la sirena è in grado di compiere una simile operazione senza il sostegno di un incremento termico. Semplicemente avvalendosi del proprio straordinario impero su tutto quello che è liquido, ella ha difatti scoperto di poter realizzare questa trasformazione su qualunque tipo esistente di materiale con prodigiosa agevolezza. È sufficiente che sfiori un oggetto con una parte del suo corpo oppure anche soltanto attraverso terzi, perché il bersaglio predestinato si trasformi istantaneamente in fluido. La composizione chimica del corpo non muta affatto, ma passa al corrispondente stadio liquido che gli conviene: seguendo questa logica riguardo ai distinti stadi di aggregazione naturale della materia, i metalli fondono e il ghiaccio si squaglia come se fosse neve al sole, mentre le piante si alterano in linfa. Non sussiste nessun traguardo irraggiungibile per questo incantesimo assai singolare, dato che qualsiasi composto presume una forma di fusione, persino i più improbabili come per esempio marmo e pietra, ma la fanciulla non può utilizzarne il potere sulle creature viventi, perché costituite da così tanti generi eterogenei e dissimili di elementi da non poter comunque essere considerate come un soggetto unico: questo sortilegio arriva appunto a disgregare con successo soltanto un bersaglio per volta, e purché fabbricato con un massimo di poche sostanze tra loro differenti. Il consumo varia in rapporto alla quantità di materia ed alla laboriosità della trasformazione.

Energie residue: 72% - 32% = 40%
 
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Re Mascherato
view post Posted on 9/5/2008, 16:56




« Hai vinto, mio Re; hai vinto!
La vedi ora, strisciante in terra?! Guardala. GUARDALA!
Non oserà mai più sfidarti! Nessuno oserà mai più farlo!!
E ora termina quello che hai iniziato, Ray. Prendila! Falla tua!! Non è questo che stai desiderando sin da quando l'hai vista?!
Lei non ha più difese, ora. L'hai distrutta. Uccidila, e tutti sapranno che nessuno può sconfiggerti!
Vinci, mio Signore. Vinci!
Tradiscila!!
»


« ...Taci, bestia.
...Tu stai parlando come gli uomini, ma non pensi come un Re.
»

image


Inaspettatamente il suo corpo si rifiutò di reagire, disubbidendo ai suoi ordini.
Sentì il sangue ribollire, mentre ogni fibra dei suoi muscoli faticava per muovere quegli arti che gli pesavano come pietra.
Per le dita si diffuse il teso formicolare dell'attesa, e il collo si allungò in avanti, come se non potesse fare altro che assistere alla scena.
Vide il suo Cavaliere cogliere Sephrine dal terreno con la stessa difficoltà con la quale si raccoglie un fiore, ma senza la stessa delicatezza.
Più simile al gesto con cui un Cacciatore spella le proprie prede prima di metterle a bollire, la mano del gigantesco Golem si abbassò rapida verso la figura della ragazza, furente, soffocandola nella sua stretta e alzandola verso di se.
Nello specchio dello sguardo di Ray un vetro parve incrinarsi a quella vista, disegnandovi le venature dell'ira serpeggianti per l'iride, e sgranandosi alla potente, forte e incontrollabile scarica di adrenalina che aveva inondato il suo corpo sfondando ogni argine, e al tempo stesso congelandolo al suolo.
Assistette impotente a un rivolo di sangue liberarsi dalle sue labbra, strette in una morsa ben più dolorosa di quella con cui il suo Cavaliere avrebbe potuto torturarlo.
E in quell'istante, l'unica cosa che la sua mente riusciva a fare era rimproverarsi per non conoscere il nome della sua Regina.
Il nome della Farfalla che aveva tanto desiderato possedere, sino a quell'istante, e che ora il suo Cacciatore s'apprestava a distruggere.
Si maledisse per non averlo potuto gridare vedendola persa nella stretta ferrea delle dita della sua creatura, che ora stava apprestandosi a consegnargliela, tracimante di perbenismo, come salma di ciò che era stata. Bloccata per sempre nel protendersi del tempo. Mai più vecchia, né decrepita. Bella, dolce e lieve, per l'eternità.
Qualcosa lo mosse a quel pensiero, e le dita gli si contrassero in un schiocco metallico, come liberandosi da una parete di pietra.
Non lo desiderava.
La sua mente raccolse alcuni dei cocci dei desideri che erano stati infranti con l'apparizione del Cavaliere, ricordandogli che non era quello, ciò che voleva. Che non era quello, ciò che aveva ordinato.
Ancora una volta gli parve di poter sentire la pelle bianca di lei scivolare sotto le sue mani, e i suoi respiri accarezzarne il viso.
Ne sentì le punte delle dita aggiustargli amorevolmente i capelli, mentre con l'altro palme gli accarezzava la schiena, troppo ampia per poter essere percorsa interamente con un'unica traversata.
Ne sentì il sapore sotto le labbra, e l'odore fra le narici.
Era quello, che desiderava.
Tuttavia, quando il suo corpo, spinto da una più ferma risoluzione, prese a muoversi nuovamente, la sua Regina era già intervenuta per salvarsi la vita.
Improvvisamente, il braccio del Cacciatore iniziò a deformarsi, perdendo di consistenza. In esso si formarono fori e figure mai viste, tanto che sembrava di assistere a come la terra diviene fango durante il temporale.
Ben presto la tecnica liberò Sephrine dalla stretta del Golem, attaccandone anche il braccio e continuando a diffondersi nel suo corpo come la peggiore delle malattie, allungandosi fino al busto.
La ragazza cadde in terra, sfinita, ma fu diligentemente afferrata al volo dalle proprie creature, evocate il turno precedente.
Gelido come l'inverno, il Monarca assisteva alla punizione che era stata voluta per il proprio Cacciatore. Non da parte sua, com'era stato detto nella favola, bensì da parte della Farfalla.
Disperato, lo vide arrancare faticosamente per rimettersi eretto, le giunture dilaniate dalla ruggine e urlanti il loro dolore, ma, ben presto, la sua sofferenza sarebbe finita.
Con un sonoro "Clang", i muri della camera si strinsero, soffitto compreso, imprigionandolo e schiacciandolo.
Le lance lo trafissero in diversi punti, mentre la tecnica della Sirena ancora lo stava punendo.
A lui degnò soltanto uno sguardo d'odio, prima di superarlo. Compiacendosi della sua immobilità e della sua sconfitta, ripromise a se stesso che mai e poi mai avrebbe più donato tanta libertà al proprio Cavaliere che, anche in quel momento, lo scrutava trasognato, incapace di comprendere cosa avesse sbagliato.

Muovendosi verso di lei, i suoi passi sollevarono qualche nuvola di polvere, quasi entrambi i duellanti non si fossero mai mossi.
Pesanti, ricadevano al suolo senza compiere il minimo rumore, soffocati dalla sua gentilezza; e, in breve, raggiunse la sua adorata.
Non seppe trovare il coraggio di sfiorarla.
Non perché non lo desiderasse, né perché non fosse capace di farlo.
Si abbassò, invece, accanto a lei, poggiando le ginocchia in terra e assistendo impotente alle sue ferite, annegando il dolore che gli provocavano al di la di un'espressione di malcelata confidenza, come si sarebbe convenuto ad un vero regnante.
Alzò una mano, che tremò, e la spinse verso il viso di lei.
Non si chiese cosa non sarebbe funzionato, o cosa sarebbe successo. Né si maledisse per non poterla guarire lì sul posto, benché lo desiderasse ardentemente.
Fece solo quello che ci si sarebbe aspettato da lui, e che lui soltanto riusciva a fare.

« ...No. Io non ti tradirò. Non ti ucciderò mai. »

Con la stessa voce che molti prima di lei aveva ingannato, tradito, e ucciso, le giurò eterna fedeltà, sperando di guarire la più terribile delle ferite che affliggevano il corpo di Sephrine in quel momento.
Cercando di impedire alle sue stesse dita di tremare, le passò la mano sotto la guancia, carezzandola con quanta più gentilezza gli fosse possibile.
Lo sguardo ancora congelato nel momento in cui aveva dovuto trovare il coraggio di avvicinarsi a lei.
Finalmente, era tutto finito.

SPOILER (click to view)
CITAZIONE
Ferite: Nessuna
Energie: 32%
Status Golem: Impossibilitato al combattimento o a qualsiasi altra azione.
Note: ///

CITAZIONE
S i i l a m i a F o r z a ~ [...] Questo potere può essere canalizzato tramite la parola.
Come molti dei suoi avversari avranno potuto notare, infatti, Ray è una persona che ama molto ascoltare la sua stessa voce, nonché distruggere e infrangere l'orgoglio avversario tramite di essa, parlando e conversando all'interno del duello come se lui e l'altro fossero tranquillamente seduti a fare salotto. Tutto ciò ha conferito al ragazzo un carisma non indifferente, e un'invidiabile capacità persuasiva, impressionante a dire la verità. Spendendo un consumo pari a Basso, e impregnando le parole di carica psionica, tutto ciò che Ray dirà alle orecchie dell'avversario passerà per vero, indipendentemente da ciò che lui dica. Le sue capacità di parlatore possono perfino convincere le menti più deboli del contrario di tutto ciò che pensano, distruggere i loro ideali, rigirarli a piacere o, addirittura, variarne i ricordi. In ogni caso, la veridicità delle parole di Ray sarà inoppugnabile in qualsiasi situazione, non importa quanto sia grande la bugia da lui architettata. Anche se questo non comporta all'avversario di comportarsi in un qualche modo. Non è infatti possibile per Ray ordinare a qualcuno di fare qualcosa tramite questo potere, e sperare che lui lo faccia, e non solo che vi creda. Quest'ultimo effetto consuma naturalmente uno slot tecnica del turno.
 
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Juliette
view post Posted on 12/5/2008, 21:41




Mi piaci quando taci perché sei come assente,
e mi ascolti da lungi e la mia voce non ti tocca.
Sembra che gli occhi ti sian volati via
e che un bacio ti abbia chiuso la bocca.


Poiché tutte le cose son piene della mia anima
emergi dalle cose, piene dell'anima mia.
Farfalla di sogno, rassomigli alla mia anima,
e rassomigli alla parola malinconia.



Si dice che alcune razze di uccelli non possano mai posarsi a terra; se lo facessero, non sarebbero più capaci di rialzarsi. Fino ad allora, Sephrine era vissuta come una di quelle creature, sempre in viaggio, senza legarsi a niente che potesse esserle di intralcio. Volava, indubbiamente libera come una rondine, ma anche sola.

Dopo vari tentativi, che le avevano bagnato la fronte di sudore freddo a causa del dolore, era infine riuscita a mettersi seduta sul lastricato di pietra; con gli occhi velati di pianto, scorse la figura del giovane approssimarsi, ma la sua vista era tanto annebbiata da non poterla quasi riconoscere. Stordita, distinse appena una sagoma umana, che però poteva essere chiunque. Voleva farle del male: era sicura solo di questo.

Piangere non serviva a nulla, lo sapeva. Non era mai servito. Doveva aspettare che facesse quello che voleva, come era sempre stato. E fingere di essere morta. Non sentire, non ascoltare, semplicemente fingere di essere un involucro vuoto e privo di sensibilità. Opporre resistenza era inutile, era stanca.

Il volto di lei, che fissava il vuoto come se fosse cieca, era spoglio di ogni espressione. Sembrava una statua, ed allo stesso tempo una reclusa che aspetta rassegnata la tortura. Cercò acquietare il dolore, liberando la testa dai confusi pensieri che la sconvolgevano. Non importava più. La sofferenza era ovunque, dentro e fuori, come un buio totale in cui era impossibile percepire qualcosa al di fuori del solo colore nero.

Nonostante la sua frastornata passività, il rumore di passi la spaventò tanto da farla sussultare. Trasalì e sgranò gli occhi dalle profondità marine, mentre le pupille si dilatavano nello sforzo di mettere a fuoco la persona che le stava davanti. Dopo parve ammansirsi.

Abbassò le palpebre, in un abbandono che assomigliava ad una sorta di stanca sopportazione, attendendo che la mano di lui la picchiasse e la afferrasse per i capelli, come era stata solita quella del suo promesso. Sperava che tutto finisse presto, così da potersi sottrarre il prima possibile a quel contatto ripugnante ed obbligato. Destava essere toccata. Non ne voleva proprio sapere, quando aveva abbastanza energie da opporsi.

CITAZIONE
« ...No. Io non ti tradirò. Non ti ucciderò mai. »

Impaurita dall’improvvisa interruzione del momento di silenzio che era sceso su di loro, fu scossa da un brivido che la fece vibrare come un fuscello agitato dal vento.

La mano straniera ricalcò il sentiero disegnato già da altre prima di sé sul viso della fanciulla, dolorosamente, come un coltello che ripercorreva una vecchia ferita. Sephrine era in attesa di un colpo, di un gesto di ostilità che con suo intimo smarrimento non arrivava. Passarono lunghi secondi, durante i quali il suo sentimento di sconcerto cresceva.

Il tocco di lui era delicato, quasi timoroso, come quello di chi stringe una cosa molto fragile. Sephrine, avulsa come era alla gentilezza, non poteva davvero comprenderne la purezza. In qualche modo, era convinta che dovessero arrivare per forza le percosse che il precedente assalto del colosso sembrava promettere, e perciò restava immobile, con chiara apprensione nel trattenere il fiato.

Ma la carezza del Re non accennava a tramutarsi in violenza.

La sua pelle liscia era fresca, in confronto al calore che le arrossava le gote. Una mano grande, come quella del padre di Sephrine, ma non altrettanto ruvida e brusca. Non osò aprire gli occhi, per timore di farsi sfuggire altre lacrime nel ricordare i soprusi subiti, eppure bastò la voce per tradire la sua commozione.

« Grazie… »

Beandosi del tepore di quel contatto, che era un’esperienza completamente nuova, ruotò leggermente il capo, facendo scivolare la propria bocca nell’incavo della mano dell’altro per deporvi piano un bacio: la naturalezza con cui un atto simile le era scaturito spontaneamente la meravigliò immensamente. Per un istante indugiò con le labbra morbide sulle sue dita, quindi si distolse da esse, lasciando scorrere ancora la guancia contro il palmo e tornando a mostrarsi frontalmente al giovane. Appariva assorta, mentre assaporava per la prima volta il piacere di un segno d’amore.

Voleva fare di quella mano il suo nido. Desiderava che diventasse il suo luogo a cui tornare, a cui appartenere.

Come se una fame misteriosa si fosse risvegliata, avrebbe voluto ricambiare il gesto per capire cosa si doveva provare nel farlo. Senza riflettere, diede ordine al corpo di imitare specularmene la carezza del Re, ma purtroppo quello non poté ubbidire al suo comando. L’arto rotto rimase infatti impassibile alle suppliche; la sirena rimpianse amaramente di non avere nemmeno un braccio intero per accostarlo al Re e sentirne il ritmo del cuore attraverso la pelle. Il proprio batteva tanto forte da farle girare la testa e rimbombarle nelle orecchie.

Dischiuse gli occhi, ricambiando lo sguardo dell’uomo con esitazione; inconsapevolmente, ella convertiva la malinconia, la dolcezza e persino il tormento che la pervadevano in grazia.

Si vergognava a mostrarsi in quelle condizioni miserevoli, con l’abito rovinato, bagnato di lacrime e sangue, ed il corpo ridotto all’ombra di ciò che era stato. Era piena di cicatrici, con gli arti superiori devastati. Si sentiva un mostro. Non voleva che la vedesse così, non lui. Percepiva chiaramente il peso dell’aggettivo sfregiata gravare su di sé.

Una richiesta accorata, poi, e il dono di un sorriso.

« Tutta me stessa in cambio del tuo nome, se ne hai uno. »


Lascia che ti parli pure col tuo silenzio
chiaro come una lampada, semplice come un anello.
Sei come la notte, silenziosa e costellata.
Il tuo silenzio è di stella, così lontano e semplice.

Mi piaci quando taci perché sei come assente.
Distante e dolorosa come se fossi morta.
Allora una parola, un sorriso bastano.
E son felice, felice che non sia così.



SPOILER (click to view)
Poesia di Pablo Neruda.

 
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Re Mascherato
view post Posted on 16/5/2008, 21:43




In realtà, non c'è bisogno di molte parole per descrivere quello che successe a Ray, nei pochi attimi successivi.
Il contatto delle labbra di Sephrine con la pelle della sua mano sembrava tagliargli le carni, brucianti di intensa passione.
Doloranti, le dita si contrassero contro la sua volontà, nell'inutile tentativo di sottrarsi alla gentilezza di quel gesto.
Le vide tendersi al tocco gentile di lei, aprendosi come un fiore che sboccia.
Le sentì infiammarsi e accaldarsi, come private della loro stessa pelle.
Provò l'impulso di ritirarle improvvisamente e sottrarle a quel contatto così inspiegabilmente doloroso, allontanando il braccio dalla figura di Sephrine, ma, allo stesso tempo, sentì ogni muscolo dell'arto abbandonarsi senza forze e un formicolio impadronirsi delle sue dita.
Nello stesso istante, una comprensione più calda e amorevole si fece spazio come un soffio gentile all'interno della sua mente, riscaldandogli il cuore.
Le sue palpebre si socchiusero lentamente, mentre sentiva la tensione sfuggire via da ogni sua fibra.
Le ginocchia si abbandonarono inerti al terreno, dolorando per il lungo contatto in una posizione così instabile.
Il suo sguardo saettò sul viso di Sephrine, e lui capì.
Anche volendo, non sarebbe riuscito a togliere la mano.
Anche potendo, non avrebbe mai desiderato di farlo.
Studiando il viso caldo della sirena per l'ennesima volta, e carezzandone ogni tratto con lo sguardo, indugiando appena sugli occhi e sulle labbra, Ray comprese per la prima volta che cosa fosse il piacere.
Quella sensazione che, fino ad allora, aveva pensato come "Assenza di dolore".
Quel sentimento che, fino a poco prima, aveva trovato solo nel tormento degli altri.
Quell'emozione che, con quello che aveva sempre creduto fosse, non aveva mai avuto niente a che fare.
Così, quando con silente regalità sottrasse la mano al tocco di Sephrine, non fu per paura.
Non fu per spavento, o per terrore. E nemmeno per incapacità, o arroganza.
Bensì, per vergogna.
Vergogna, poiché le sue dita, anche nell'intento di provocare gioia, quantomeno la sua, avevano sempre ceduto all'egoistica produzione di dolore.
Le nascose dietro le vesti, come fossero macchiate di sangue.
Null'altro nei suoi gesti o nel suo viso lasciava intendere i suoi pensieri, per una volta ben celati dietro a quella che non era una maschera, ma la più regale delle espressioni.
Sul suo volto si aprì un sorriso, dolce, quasi commosso.
Il momento in cui aveva promesso a Sephrine di strapparle la lingua sembrava così lontano da quello in cui le aveva sottratto il cuore...

« Ray, mia Regina. »

Le rispose con voce decisa, maledicendosi per non possedere un nome più nobile, o vivo.
Passò quindi le dita della mano che non aveva celato fra le vesti sul petto, calando il capo in quella che pareva la buffa imitazione di un inchino.

« Il Re che non perde mai. »

Alle sue labbra sfuggì un sospiro, troppo vero per poter essere trattenuto.
Alzò quindi il capo, fermo e deciso.
Sul suo viso era dipinta un'espressione di sapiente malizia, amorevole e in amore al tempo stesso.

« Se lo vorrai... Monarca anche per te. Da qui all'eternità. »

_______________________ _______ __

Così si conclude la nostra favola, diversamente da come ci aveva proposto la prima stesura.
Un pittore scadente, un filatore tradito e un cacciatore fallito hanno portato il nostro Re ad ottenere ciò che fin dall'inizio aveva sempre desiderato.
Non la bellezza della farfalla, né le sue ali, che mai sarebbe riuscito ad ottenere.
Non anelava nemmeno ad averla chiusa in una gabbia accanto a se, per poterne fare vanto.
Ciò che aveva sempre voluto, in realtà, era che quella cosa talmente splendida da non sembrargli vera decidesse di posarsi su di lui, e rimanergli accanto.
Che di sua spontanea volontà gli si avvicinasse, e lo amasse.
Che la farfalla, nella sua bellezza e fragilità, scegliesse di concedersi a lui... ed essere la sua Regina.
 
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Staffwarriorday
view post Posted on 6/6/2008, 17:38




~ Giudizi ~

Juliet

Scrittura
3,6
Strategia
2,49
Sportività
3,25

Ray~

Scrittura
3,44
Strategia
3,39
Sportività
3,25

Vincitore: Ray~

 
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12 replies since 11/4/2008, 18:12   1096 views
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