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| | La sala è rettangolare, parecchio lunga, la cui larghezza equivale alla metà. La superficie interna è molto estesa, al punto che pare poter ospitare comodamente un centinaio di persone; tre ampie porte-finestre sono collocate ciascuna su una parete differente, e conducono su un balcone che circonda con un semicerchio i tre quarti dell'edificio. il salone è pavimentato di marmi bianchi e grigi, e nel suo centro esatto alloggia un falco stilizzato riprodotto da venature di granito rosa. I due terzi del soffitto sono occupati da altrettanti lucernari che riflettono e diffondono la luce tenue della luna; nel mezzo è appeso un enorme lampadario a cristalli sfaccettati in varie angolazioni, con un nucleo illuminante di rubino e zircone. Le due pareti lunghe sono ornate da varie incisioni floreali e ospitano quattro alcove, con coppie di colonnine di alabastro, nelle quali -alla sinistra ed alla destra delle porte a vetri- alloggiano fontanelle a forma di conchiglia, che zampillano acqua profumata nelle valve di vetro colorato. I tavolini rotondi sono disposti in ordine sparso accanto alle pareti maggiori, e pare possano ospitare comodamente quattro persone; su ognuno di essi c'è una tovaglia candida, e una candela si consuma lentamente. Poco più vicina al muro, dodici camerieri in livrea bianca attendono con le mani giunte dietro la schiena. Su un lato corto, verso il balcone, un tavolo più esteso e squadrato degli altri è sistemato in trasversale rispetto ai lati lughi. Dietro, alcune sedie ornate. La parte superiore delle pareti si ritrae in balconi segreti in cui suonano, non visti, gli orchestrali. Sull'altro lato corto, l'unico senza finestre sull'esterno, c'è la doppia porta d'entrata, con ai lati due rampe di scale curve verso l'interno, che collegano il piano inferiore ad uno leggermente sopraelevato. Su di esso giace una bizzarra impalcatura: una piattaforma cristallina, di cubi formati da facce scisse di vetro riflettente, sulla quale grava un sipario color porpora..che lascia intravedere rilievi e lastre verticali in ombra sulla superficie vetrosa. Le porte d'ingresso sono appena state aperte.
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Guardava la folla da un po' di tempo a quella parte, come se da essa si aspettasse qualcosa. Il ricevimento era appena nato. E i suoi vagiti erano brusii e vocii neanche troppo dissimulati, mentre la porta d'ingresso si ingolfava e liberava, a ritmo serrato. Finché non furono tutti riuniti. Era una massa variopinta, di sciami e gruppuscoli che sciabordavano da una parte all'altra della sala. Aveva osservato, rispondendo agli sguardi diretti di saluto con qualche cenno mirato del capo, e aveva atteso il momento giusto. Quello in cui le chiacchiere si sfiniscono le une contro le altre, e si comincia a sentire il bisogno di dare inizio a qualcosa che dia una parvenza di comprensione ai movimenti impercettibili dei minuscoli ingranaggi che componevano ogni singolo particolare della questione.
Si alzò, posando un'occhiata laconica sul salone spalancato oltre il suo lungo tavolo. Per l'occasione sfoggiava una giacca fino ai tre quarti, in broccato azzurro ricamato d'oro. Una camicia dissimulava il candore della pelle del collo, circondato da un ascot color viola purpureo -come il nastro che li raccoglieva i capelli in una coda, sulla nuca. Strinse le labbra e sollevò il calice di cristallo purissimo tra l'anulare ed il medio guantati di bianco. Un rintocco acuto trafisse l'attenzione degli astanti. L'albino posò il coltello che aveva appena percosso il bicchiere, facendo cenno di umettarsi le labbra, come preparando un brindisi.
"Ma qui manca qualcuno."
Esordì. Parecchie sopracciglia si inarcarono, qualcuno cercando di ricordare in maniera evidente chi potesse essere il disperso.
"Si." Finse di controllare lui stesso. "Signore, signori, è innegabile. Non vedo nessuno in particolare. O forse dovrei essere più preciso: non vedo nessun nessuno in particolare."
Il suo viso era evidentemente divertito nel constatare i dubbi più che ovvi sul volto di tutti.
"Ma voi, probabilmente, non mi capite. Guardatevi!" Spalancò le braccia verso di loro, come fosse un invito. "Guardatevi l'un l'altro, al meglio che vi riesce. E ditemi: c'è, fra chiunque voi osserviate, un membro di questo convitto che meriti il giudizio di "consueto", o "usuale"?
Tacque, attendendo risposte. Che non arrivarono.
"Non c'è. Dunque avevo ragione. E ancora mi chiedo: avete idea del perché questo accada?" Aveva assunto un'espressione conciliante, e ancora, nessuno rispose. Ma questa volta, forse, per interesse. "Allora, se permettete, parlerò io." "Sarà forse perché ogni membro di questo ritrovo è a suo modo diverso?
Posò sbadatamente una mano sulla fronte, scuotendo appena il capo. "Chiedo venia, ho mancato il termine. Non diverso. Speciale." Riprese fiato.
"E' questo il motivo? Oppure è per merito della ricorrenza. Pensate, è solo una questione di tempo prima che qualcuno di voi affermi la sua superiorità su tutti gli altri. Ma adesso -in questo preciso momento- di quegli eletti altro non sappiamo che sono composti della vostra totale sostanza. Qui ed ora celebriamo il fatto che chiunque di voi può essere quel colui; quindi è un giorno di festa." Fece una pausa ad effetto. "Indubbiamente sono vere entrambe le ipotesi, dato per certo che dipendono l'una dall'altra. Allora perché, signori miei tutti, si combattono i tornei?
Uno, due, tre secondi.
"Perché il confronto è quanto abbiamo di più forte per imporre alla storia il suo essere trascorsa. Un modo saporito, passionale e sanguigno per dare frutto all'accumularsi del nostro tempo. Che ci trafigge, che ci investe; che ci scorre e ci trascorre. E' il tempo delle spade, sappiatelo bene, delle spade alzate in aria come mani festanti, delle mani aperte davanti a sé come vasti scudi. Cosa resta di così vivo in quest'esistenza?"
"Siamo la lingua viva e indocile, rossa di pàlpiti e parole roventi, che si dibatte tra le tensioni interne di un mondo grigio sporco. Noi, le scintille che sprizzano dal martello del rifiuto e l'incudine dell'indolenza, cercheremo di divampare in un unico fuoco, in cui "colore" e "calore" avranno lo stesso significato."
Come infervorato da una passione risvegliatasi ad ogni singola sillaba, levò il bicchiere al di sopra degli occhi.
"In alto i calici allora, perché il vino è rosso come il sangue, e il sangue è vero come il mondo: questo è il tempo delle spade. Da oggi in poi cominciano ad essere raccontate le vostre storie.
Diede uno sguardo, e tutti seppero che sarebbe stato l'ultimo, agli astanti.
"E le storie, a ben vedere, sono tutto quello che abbiamo. Spero di non aver abusato della vostra pazienza. Le danze sono aperte."
Con queste parole, ad un gesto ben visibile della sua mano, l'orchestra cominciò a suonare. Si sedette sul suo scranno intarsiato, vuotando il calice in pochi piccoli sorsi. Quindi riprese a guardare, con un fastidioso sorrisetto nascosto dalla mano.Vorrei che questo discorso non fosse solo rivolto dal mio ai vostri corrispettivi virtuali, ma venisse recepito anche come un augurio che io, in qualità di utente -e persona- rivolgo a voi tutti, senza nessuna eccezione. Fate conto che le parole che Kyo ha appena detto, solo per questa volta, siano anche le mie.
Da questo momento comincia il vostro torneo, che siate o meno partecipanti. Sentitevi liberi di esprimervi nel modo e con la frequenza che credete più consona. E soprattutto, fatemi/ci/vi divertire. Edited by .::Tanathos88::. - 16/11/2007, 00:12
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